Aspetto
e aroma
Il
regno vegetale ci affascina con i suoi odori, sapori e usi
medicinali; sembra tutto così bello e buono che non pensiamo alle
insidie che invece nasconde, spesso molto molto bene. A parte la
famosa Amanita Muscaria (detta anche fungo di Biancaneve per il suo
aspetto fatato rosso a pallini bianchi) che ormai tutti sanno essere
decisamente non commestibile, molti funghi invece hanno un odore
talmente ripugnante che sembra portino un'insegna luminosa con su
scritto "Attenzione! Veleno – Non ingerire". Se fosse
sempre così sarebbe molto semplice e intuitivo stare alla larga dai
pericoli. Buon aspetto e buon profumo equivalgono a buon cibo: se
applicassimo questa semplice equazione probabilmente il genere umano
si estinguerebbe nel giro di pochissimo. Per fortuna una saggezza
antica e tramandata nei secoli ci mette in guardia dall'apparenza e
dal canto di sirena di alcune specie vegetali da cui è meglio non
farsi ammaliare e starne il più possibile alla larga.
La
Datura Stramonium è sicuramente una di queste proprio perché non
denuncia subito la sua natura mortifera.
Molti
testi la definiscono un po' come i funghi puzzolenti di cui si
parlava prima, quindi con un aspetto e un odore che non ispirano
fiducia, ma non è del tutto vero. Certo, le sue foglie sono
frastagliate e asimmetriche ma al tatto risultano soffici e
vellutate, che invitano al tocco. Un primo segnale si ha quando le si
strofina: se avvicinerete le dita al naso subito dopo, vi assicuro
che la vostra prima reazione sarà di allontanarle con uno scatto e
una smorfia di sorpresa vagamente disgustata. Questo gli ha valso
l'elegante e simpatico appellativo di "cacapuzza fetente"
in Campania, ma ha molti altri nomi popolari tra cui erba delle
streghe, erba matta e pure erba carogna. L'odore delle foglie è
veramente tremendo ma non solo; noterete anche che tende a rimanere
"appiccicato" alle dita ed è il motivo per cui si
consiglia di toccare questa pianta il meno possibile. Tra un po'
capiremo perché.
I
fiori invece sono un'altra cosa, in effetti una reazione vaga di
pericolo può scattare in un angolino del nostro cervello perché la
loro forma è molto bella e ipnotica ma anche un tantino inquietante;
sono calici di forma tubolare composti da cinque petali pieghettati e
acuminati che somigliano a delle campanelle rivolte verso l'alto con
la parte finale a forma di girandola, di un rassicurante colore
bianco latte con sfumature violacee. Sembrano morti e avvizziti di
giorno ma riprendono forza, vita e bellezza con il favore delle
tenebre, tanto per rimanere in tema, emanando un odore che i più
definiscono sgradevole alla percezione umana ma irresistibile per le
farfalle notturne che lo adorano. Personalmente trovo il loro aroma
inizialmente molto piacevole ma insistendo ad avvicinare il naso al
fiore si percepisce una punta aromatica persistente e vagamente
nauseabonda. Un doppio effetto che gioca tra un estremo e l'altro e
che conferma la fama sinistra della pianta: bella, ingannevole e
letale.
Massima attenzione anche a una "cugina" di primo
grado dello stramonio, ovvero l'Atropa Belladonna, che sembra molto
più innocua; il veleno che contiene, l'atropina appunto, ha ucciso
molti bambini rimasti affascinati dai suoi frutti neri simili a
ciliegie, molto invitanti e dolci all'assaggio. Un altro elemento
respingente dello stramonio è sicuramente il suo frutto, detto noce
del diavolo, grande come una noce appunto e pieno di spine che
contiene i suoi pericolosissimi semi; tutte le parti della pianta
sono comunque estremamente velenose.
Come
uccide
La
potenza tossica e allucinogena dello stramonio è tale che fu messo
al bando dalla Chiesa durante l'inquisizione, insieme alle cugine
mandragora e belladonna, annoverate tra le piante maledette. Ciò che
rende pericolose queste tre solanacee è un insieme di alcaloidi
(sostanze dotate di grandi effetti farmacologici in piccolissime
dosi), nello specifico i cosiddetti "alcaloidi del tropano",
ovvero atropina, iosciamina e scopolamina. Questi alcaloidi sono
tuttora usati nella medicina moderna, ad esempio in oftalmologia per
indurre midriasi ovvero dilatazione delle pupille, oppure come
antispastici o preanestetici. Senza scomodare i complicati processi
chimici che ci sono dietro, diremo semplicemente che hanno una
marcata azione sul sistema nervoso e questo può tradursi in effetti
diversi come eccitazione, disorientamento e confusione mentale un
aumento del ritmo cardiaco, una vasodilatazione, un'inibizione di
secrezioni (salivare, gastrica, bronchiale, etc). Gli effetti
collaterali si manifestano dopo circa mezz'ora o 45 minuti
dall'ingestione e i più comuni sono: secchezza delle fauci, forte
prurito della pelle, ipersensibilità alla luce, nausea, diarrea,
mancanza di coordinamento motorio ed
estrema dilatazione delle pupille. La durata degli effetti dipende
dalla quantità di sostanza ingerita e va da alcune ore a 5/10
giorni. Nella fase più critica dell'avvelenamento sopraggiungono
vertigini, crisi di panico, aggressività, delirio e allucinazioni;
nei casi più gravi, disturbi della vista, ipotensione e coma. La
morte arriva quasi sempre per la paralisi dell'apparato respiratorio.
Ma oltre ai rischi letali per avvelenamento, allo stramonio vengono
attribuiti alcuni casi di morte dovuti a comportamenti legati
esclusivamente ai sintomi dell'intossicazione. Ad esempio, ci sono
stati dei giovani trovati affogati in ruscelli dalle acque poco
profonde nel vano tentativo di dissetarsi: la secchezza delle fauci
causata dallo stramonio si dice sia irrefrenabile. Altre persone,
convinte di poter davvero volare, si sono suicidate lanciandosi da
grandi altezze. In omeopatia, lo stramonio va a sedare gli stessi
sintomi che produce il suo veleno, ovvero quelli sopra descritti:
delirio da psicosi, epilessia,
convulsioni, agitazione
e altro.
La
medicina popolare di un tempo impiegava le sue foglie contro l'asma
fumandole insieme al tabacco, oppure le si lasciavano macerare con i
germogli teneri in alcol per poi usare questa mistura per frizionare
il corpo contro i dolori reumatici. Se ne facevano pediluvi per i
dolori ai piedi, impacchi di foglie tostate per il mal di denti o
applicate dietro le orecchie per le otiti, o ancora, un unguento di
semi con l'aggiunta di belladonna da frizionare sull'addome contro i
dolori del parto e per andare in trance; nel 1500 si ponevano alcune
foglie nei cuscini per provocare il sonno agli insonni, ma in tutti
questi rimedi era sempre raccomandata la massima attenzione perché
una dose sbagliata anche di poco "avrebbe provocato la pazzia".
Un
po' di etnobotanica
Nelle
leggende e nella mitologia troviamo altre notizie poco rassicuranti.
Il
nome sembra derivi dal sanscrito DhattUra, ovvero mela spinosa, ma
altri sostengono che invece le origini siano greche e derivino da
"strychnon manikòn", che significa in parole povere
"pianta della pazzia". Grazie alle analisi microscopiche,
tracce di semi di datura stramonium sono stati rinvenuti all'interno
di vasi di terracotta in un sito archeologico sui Pirenei e
risalirebbero a più di 3000 anni fa. Ci sono abbondanti
testimonianze di come questa pianta sia stata usata in tantissime
culture diverse a scopi medici, divinatori e addirittura per adorare
gli Dei; una varietà di datura con fiori molto più grandi e
scenografici, la Metel, è considerata dagli induisti sacra a Shiva,
dio della Distruzione (sempre per rimanere in tema), infatti in
alcune raffigurazioni i suoi fiori gli ornano i capelli. Gli sciamani
dell'America centrale assumevano stramonio per cadere in uno stato di
trance, seguito da convulsioni e da sonno profondo al cui risveglio
riferivano di essere stati in contatto con gli spiriti degli
antenati; la definiscono una pianta indicibilmente potente che va
temuta e rispettata, mai abusata e che sia in grado di rivelare la
vera natura di chi ne fa uso. In India è stata impiegata a
lungo, in Cina era una pianta sacra, molto conosciuta anche tra i
medici arabi e sono parecchi gli studiosi a sostenere che fu proprio
lo stramonio a causare il fumo inebriante dell'oracolo di Apollo a
Delfi. Questi sono solo alcuni
esempi dell'interessantissima storia millenaria di questa pianta.
Alfredo
Cattabiani, noto studioso di simbolismi e di tradizioni popolari, la
riassume così: "Pianta
amante delle tenebre, pianta velenosa, pianta degli esseri infernali,
dei mariuoli e delle cortigiane avide di denaro e di potere; con
tutte queste caratteristiche lo stramonio non poteva non evocare i
simboli inferi, dalla Depravazione alla Finzione, dall'Incantesimo
ingannatore alla Simulazione".
Tra
i mille nomi con cui l'hanno chiamato, lo stramonio era noto anche
come "pianta dei ladri" perché pare che i briganti
mettessero i suoi semi in una bevanda dal sapore gradevole per
confondere e inebriare i malcapitati di turno che poi venivano
derubati di tutti i loro averi. Allo stesso modo, gli sfortunati che
bevevano questa mistura si trovavano privi di volontà e disposti a
raccontare segreti e luoghi nascosti che non avrebbero mai rivelato a
nessuno: una sorta di siero della verità fatto in casa usato per
fare giustizia o ancora per truffare.
Ma
il fattore che ha contribuito di più alla sua fama diabolica è la
connessione con streghe, stregoni e negromanti; veniva usata nei riti
demoniaci per richiamare gli esseri infernali e durante i sabba per
ricreare l'illusione del "volo magico", mischiata insieme
ad altre sostanze stupefacenti come la bufotenina, sostanza bavosa
prodotta dalla pelle del rospo appartenente al genere Bufo quando si
sente minacciato. In Texas è stato addirittura pubblicato un libro
che descrive i modi corretti per la cattura del rospo e di come
prelevare questa famosa bava senza fare del male all'animaletto.
Si,
è tutto vero: probabilmente la principessa della celebre fiaba dei
fratelli Grimm che lo ha baciato è rimasta vittima di allucinazioni
talmente potenti da vedere la trasformazione in principe solo nella
sua immaginazione. Magari il povero rospo sarà ancora lì a
chiedersi che diavolo volesse quella pazzoide. Evitiamo però di
metterci a sleccazzare tutti i rospi che incontriamo per strada,
perché non è comunque semplice trovare quelli "giusti",
almeno non in Europa, e rischiereste di aver baciato una cosa viscida
e molliccia per nulla; sopratutto perché oltre alle sostanze
allucinogene questi rospi particolari secernono anche altre molecole
che influiscono sul ritmo cardiaco provocando aritmia e infarti. La
sua composizione è molto simile a droghe come il DMT ma con infiniti
effetti collaterali in più, tra cui la morte. Probabilmente quindi
non ne vale la pena.
Castaneda
e il suo Don Juan
Carlos
Castaneda, figura carismatica e di grande spicco nel panorama New
Age, pubblica il suo primo libro nel 1968 "A scuola dallo
stregone", narrando del suo primo incontro con il leggendario
Don Juan e di come avesse deciso di seguirlo in un cammino di
apprendistato durato più di dieci anni con altrettanti libri, tutti
grandi successi editoriali. Castaneda descrive i suoi viaggi
sovrannaturali con lo sciamano e di come abbiano trasceso il tempo e
lo spazio con il piccolo aiutino di funghi e piante allucinogene;
secondo l'autore, Don Juan poteva vedere e usare l'energia del Tutto,
ma definì il sentiero che conduce alla conoscenza "difficile e
pericoloso". I suoi critici più accaniti sostengono che Don
Juan non sia mai esistito e che fosse solo un parto della sua mente
sotto l'effetto di sostanze psicotrope. D'altra parte negli anni '70,
quando le persone ingollavano qualsiasi cosa, ha avuto anche un
nutrito seguito: infatti, sulla scia dei suoi libri, aumentò il
consumo incauto dello stramonio e i decessi legati alla sua
ingestione. Ma di questo naturalmente, la pianta non ha colpe. E
neanche Castaneda, alla fine.
E
dunque...
In
conclusione lo stramonio non è né buono né cattivo, è il suo uso
improprio a fare delle vittime.
Se
tutti questi racconti di streghe volanti, diavoli infernali e visioni
mistiche vi hanno affascinato, vediamo se riusciamo a farvi passare
la voglia di avere a che fare con questa pianta se non per coltivarla
come pianta ornamentale... sempre che non abbiate bambini curiosi,
gatti impiccioni o cani kamikaze pronti ad assaggiare qualunque cosa
viva o morta.
Due
ragazzini in Italia, non avendo sottomano degli stupefacenti
"classici" hanno optato per fumarsi lo stramonio così, per
provare qualcosa di nuovo e perché sapevano vagamente che questa
pianta aveva proprietà allucinogene. Uno ha avuto una bruttissima
crisi convulsiva, l'altro è rimasto preda di terribili e potenti
allucinazioni. Quello con le convulsioni ha rischiato gli stadi
successivi, ovvero la paralisi dei muscoli respiratori, il coma e la
conseguente morte. Qualche anno dopo, una madre con la figlia sono
state intossicate e ricoverate per aver scambiato lo stramonio per
una pianta di spinaci. Qualche altro genio della lampada invece ha
pensato bene di preparare un infuso e trangugiarlo come se fosse un
buon tè pomeridiano finendo in rianimazione poco dopo averlo
ingerito. Questi sono soltanto alcuni dei tantissimi casi di
avvelenamento finiti bene, ma lo stramonio in genere non perdona:
anche due coniugi anziani sono finiti in ospedale per aver scambiato
i suoi fiori per fiori di zucca, quindi li hanno colti, impanati,
fritti e mangiati per cena. Per fortuna non è stata la loro ultima
cena e se la sono cavata per miracolo.
Ma
come avevamo accennato all'inizio non è consigliabile neanche
toccare questa pianta. Infatti l'illusione del volo magico delle
streghe pare non fosse opera di un infuso o di una frittata a base di
stramonio, ma di un semplice unguento spalmato sulla pelle: la
sorpresina nell'uovo di Pasqua di questa datura è che può
intossicare anche per uso topico, non occorre ingerirlo. Certo,
strofinare un secondo la foglia per sentirne l'odore (o l'olezzo, in
questo caso) non vi farà cadere in coma, ma sarebbe meglio gettarla
via subito dopo e possibilmente lavarvi le mani. Uno studio condotto
nel 1960 dall'università di Gottingen in Germania ha ricreato uno di
questi unguenti utilizzando una ricetta tratta da un testo di magia
di un famoso alchimista italiano; i ricercatori riferirono di aver
provato tutte le visioni e le sensazioni descritte dalle streghe
durante i sabba, ovvero visioni orribili di facce dilaniate, oggetti
volanti, sensazioni di volo interrotte poi da un'improvvisa quanto
sgradevole caduta. Insomma, veri e propri viaggi dell'orrore.
Inoltre,
non ci stancheremo mai di ripeterlo, il confine tra la dose
allucinogena e quella letale è davvero pericolosamente sottile a
causa della varietà della concentrazione delle sostanze attive
presenti nelle diverse parti, quindi se cercate dei paradisi
artificiali non è questo il caso; anzi, anche se dovesse andare
bene, ovvero usarlo senza lasciarci le penne, le allucinazioni
indotte dallo stramonio, come detto sopra, non sono affatto piacevoli
o ricreative. È una pianta che ci può affascinare e stregare (in
senso letterale, come abbiamo visto), quindi ammiriamone i bellissimi
fiori, ampliamo la nostra cultura con la sua affascinante e magica
storia etnobotanica e lasciamola esattamente dove si trova, senza
farci tentare dall'offrire una bevanda alla suocera invadente o
un'insalata al marito che ci ha fatto arrabbiare.
O
all'automobilista che ci ha tagliato la strada.
O
al politico di turno.
La
lista potrebbe allungarsi di parecchio.
Insomma,
se davvero fossimo così fuori di testa non basterebbe tutto lo
stramonio di questo mondo e non avremmo neanche risolto nulla alla
fine. Il perdono è un'arma molto più rivoluzionaria e tagliente in
questi ultimi anni avvelenati dalla rabbia e dal desiderio di rivalsa
e vendetta.
Rispetto
all'ennesimo sociopatico, l'equilibrio personale è qualcosa di
davvero pericoloso per un sistema che mira a ridurre l'individuo a un
grumo di ansie per il futuro.
BIBLIOGRAFIA
-
R. M. Suozzi - "Dizionario delle erbe medicinali", Newton
Compton, 1995
-
G. Debuigne – "Enciclopedia delle piante della salute",
Gremese Editore, 2004
-
Dr L. P. Da Legnano – "Le piante medicinali", Edizioni
Mediterranee, 1970
-
A. Cattabiani "Florario" – Mondadori, 1996
-
G. Samorini "Gli allucinogeni nel mito", Nautilus 1995
-
R. S. De Ropp "Le droghe e la mente", Cesco Ciapanna
Editore, 1980
-
Anna Lisa Cantelmi "Herbaria e le piante per volare".
Nautilus, 2002
-
C. Corvino "Credenze stregoniche e interpretazioni
farmacologiche", M. Di Rosa Edizioni, 1990
- Peter t. Furst "Hallucinogens and culture", Chandler & Sharp Publishers, 1976