giovedì 31 gennaio 2019

Stramonio, erba del demonio

Un viaggio alla scoperta di una pianta bella e maledetta, molto diffusa in Italia e con una storia millenaria di streghe, furti e morte.




Aspetto e aroma
Il regno vegetale ci affascina con i suoi odori, sapori e usi medicinali; sembra tutto così bello e buono che non pensiamo alle insidie che invece nasconde, spesso molto molto bene. A parte la famosa Amanita Muscaria (detta anche fungo di Biancaneve per il suo aspetto fatato rosso a pallini bianchi) che ormai tutti sanno essere decisamente non commestibile, molti funghi invece hanno un odore talmente ripugnante che sembra portino un'insegna luminosa con su scritto "Attenzione! Veleno – Non ingerire". Se fosse sempre così sarebbe molto semplice e intuitivo stare alla larga dai pericoli. Buon aspetto e buon profumo equivalgono a buon cibo: se applicassimo questa semplice equazione probabilmente il genere umano si estinguerebbe nel giro di pochissimo. Per fortuna una saggezza antica e tramandata nei secoli ci mette in guardia dall'apparenza e dal canto di sirena di alcune specie vegetali da cui è meglio non farsi ammaliare e starne il più possibile alla larga.
La Datura Stramonium è sicuramente una di queste proprio perché non denuncia subito la sua natura mortifera.
Molti testi la definiscono un po' come i funghi puzzolenti di cui si parlava prima, quindi con un aspetto e un odore che non ispirano fiducia, ma non è del tutto vero. Certo, le sue foglie sono frastagliate e asimmetriche ma al tatto risultano soffici e vellutate, che invitano al tocco. Un primo segnale si ha quando le si strofina: se avvicinerete le dita al naso subito dopo, vi assicuro che la vostra prima reazione sarà di allontanarle con uno scatto e una smorfia di sorpresa vagamente disgustata. Questo gli ha valso l'elegante e simpatico appellativo di "cacapuzza fetente" in Campania, ma ha molti altri nomi popolari tra cui erba delle streghe, erba matta e pure erba carogna. L'odore delle foglie è veramente tremendo ma non solo; noterete anche che tende a rimanere "appiccicato" alle dita ed è il motivo per cui si consiglia di toccare questa pianta il meno possibile. Tra un po' capiremo perché.
I fiori invece sono un'altra cosa, in effetti una reazione vaga di pericolo può scattare in un angolino del nostro cervello perché la loro forma è molto bella e ipnotica ma anche un tantino inquietante; sono calici di forma tubolare composti da cinque petali pieghettati e acuminati che somigliano a delle campanelle rivolte verso l'alto con la parte finale a forma di girandola, di un rassicurante colore bianco latte con sfumature violacee. Sembrano morti e avvizziti di giorno ma riprendono forza, vita e bellezza con il favore delle tenebre, tanto per rimanere in tema, emanando un odore che i più definiscono sgradevole alla percezione umana ma irresistibile per le farfalle notturne che lo adorano. Personalmente trovo il loro aroma inizialmente molto piacevole ma insistendo ad avvicinare il naso al fiore si percepisce una punta aromatica persistente e vagamente nauseabonda. Un doppio effetto che gioca tra un estremo e l'altro e che conferma la fama sinistra della pianta: bella, ingannevole e letale. 


 

Massima attenzione anche a una "cugina" di primo grado dello stramonio, ovvero l'Atropa Belladonna, che sembra molto più innocua; il veleno che contiene, l'atropina appunto, ha ucciso molti bambini rimasti affascinati dai suoi frutti neri simili a ciliegie, molto invitanti e dolci all'assaggio. Un altro elemento respingente dello stramonio è sicuramente il suo frutto, detto noce del diavolo, grande come una noce appunto e pieno di spine che contiene i suoi pericolosissimi semi; tutte le parti della pianta sono comunque estremamente velenose.


Come uccide
La potenza tossica e allucinogena dello stramonio è tale che fu messo al bando dalla Chiesa durante l'inquisizione, insieme alle cugine mandragora e belladonna, annoverate tra le piante maledette. Ciò che rende pericolose queste tre solanacee è un insieme di alcaloidi (sostanze dotate di grandi effetti farmacologici in piccolissime dosi), nello specifico i cosiddetti "alcaloidi del tropano", ovvero atropina, iosciamina e scopolamina. Questi alcaloidi sono tuttora usati nella medicina moderna, ad esempio in oftalmologia per indurre midriasi ovvero dilatazione delle pupille, oppure come antispastici o preanestetici. Senza scomodare i complicati processi chimici che ci sono dietro, diremo semplicemente che hanno una marcata azione sul sistema nervoso e questo può tradursi in effetti diversi come eccitazione, disorientamento e confusione mentale un aumento del ritmo cardiaco, una vasodilatazione, un'inibizione di secrezioni (salivare, gastrica, bronchiale, etc). Gli effetti collaterali si manifestano dopo circa mezz'ora o 45 minuti dall'ingestione e i più comuni sono: secchezza delle fauci, forte prurito della pelle, ipersensibilità alla luce, nausea, diarrea, mancanza di coordinamento motorio ed estrema dilatazione delle pupille. La durata degli effetti dipende dalla quantità di sostanza ingerita e va da alcune ore a 5/10 giorni. Nella fase più critica dell'avvelenamento sopraggiungono vertigini, crisi di panico, aggressività, delirio e allucinazioni; nei casi più gravi, disturbi della vista, ipotensione e coma. La morte arriva quasi sempre per la paralisi dell'apparato respiratorio. Ma oltre ai rischi letali per avvelenamento, allo stramonio vengono attribuiti alcuni casi di morte dovuti a comportamenti legati esclusivamente ai sintomi dell'intossicazione. Ad esempio, ci sono stati dei giovani trovati affogati in ruscelli dalle acque poco profonde nel vano tentativo di dissetarsi: la secchezza delle fauci causata dallo stramonio si dice sia irrefrenabile. Altre persone, convinte di poter davvero volare, si sono suicidate lanciandosi da grandi altezze. In omeopatia, lo stramonio va a sedare gli stessi sintomi che produce il suo veleno, ovvero quelli sopra descritti: delirio da psicosi, epilessia, convulsioni, agitazione e altro.
La medicina popolare di un tempo impiegava le sue foglie contro l'asma fumandole insieme al tabacco, oppure le si lasciavano macerare con i germogli teneri in alcol per poi usare questa mistura per frizionare il corpo contro i dolori reumatici. Se ne facevano pediluvi per i dolori ai piedi, impacchi di foglie tostate per il mal di denti o applicate dietro le orecchie per le otiti, o ancora, un unguento di semi con l'aggiunta di belladonna da frizionare sull'addome contro i dolori del parto e per andare in trance; nel 1500 si ponevano alcune foglie nei cuscini per provocare il sonno agli insonni, ma in tutti questi rimedi era sempre raccomandata la massima attenzione perché una dose sbagliata anche di poco "avrebbe provocato la pazzia".


Un po' di etnobotanica
Nelle leggende e nella mitologia troviamo altre notizie poco rassicuranti.
Il nome sembra derivi dal sanscrito DhattUra, ovvero mela spinosa, ma altri sostengono che invece le origini siano greche e derivino da "strychnon manikòn", che significa in parole povere "pianta della pazzia". Grazie alle analisi microscopiche, tracce di semi di datura stramonium sono stati rinvenuti all'interno di vasi di terracotta in un sito archeologico sui Pirenei e risalirebbero a più di 3000 anni fa. Ci sono abbondanti testimonianze di come questa pianta sia stata usata in tantissime culture diverse a scopi medici, divinatori e addirittura per adorare gli Dei; una varietà di datura con fiori molto più grandi e scenografici, la Metel, è considerata dagli induisti sacra a Shiva, dio della Distruzione (sempre per rimanere in tema), infatti in alcune raffigurazioni i suoi fiori gli ornano i capelli. Gli sciamani dell'America centrale assumevano stramonio per cadere in uno stato di trance, seguito da convulsioni e da sonno profondo al cui risveglio riferivano di essere stati in contatto con gli spiriti degli antenati; la definiscono una pianta indicibilmente potente che va temuta e rispettata, mai abusata e che sia in grado di rivelare la vera natura di chi ne fa uso. In India è stata impiegata a lungo, in Cina era una pianta sacra, molto conosciuta anche tra i medici arabi e sono parecchi gli studiosi a sostenere che fu proprio lo stramonio a causare il fumo inebriante dell'oracolo di Apollo a Delfi. Questi sono solo alcuni esempi dell'interessantissima storia millenaria di questa pianta.
Alfredo Cattabiani, noto studioso di simbolismi e di tradizioni popolari, la riassume così: "Pianta amante delle tenebre, pianta velenosa, pianta degli esseri infernali, dei mariuoli e delle cortigiane avide di denaro e di potere; con tutte queste caratteristiche lo stramonio non poteva non evocare i simboli inferi, dalla Depravazione alla Finzione, dall'Incantesimo ingannatore alla Simulazione".

Tra i mille nomi con cui l'hanno chiamato, lo stramonio era noto anche come "pianta dei ladri" perché pare che i briganti mettessero i suoi semi in una bevanda dal sapore gradevole per confondere e inebriare i malcapitati di turno che poi venivano derubati di tutti i loro averi. Allo stesso modo, gli sfortunati che bevevano questa mistura si trovavano privi di volontà e disposti a raccontare segreti e luoghi nascosti che non avrebbero mai rivelato a nessuno: una sorta di siero della verità fatto in casa usato per fare giustizia o ancora per truffare.
Ma il fattore che ha contribuito di più alla sua fama diabolica è la connessione con streghe, stregoni e negromanti; veniva usata nei riti demoniaci per richiamare gli esseri infernali e durante i sabba per ricreare l'illusione del "volo magico", mischiata insieme ad altre sostanze stupefacenti come la bufotenina, sostanza bavosa prodotta dalla pelle del rospo appartenente al genere Bufo quando si sente minacciato. In Texas è stato addirittura pubblicato un libro che descrive i modi corretti per la cattura del rospo e di come prelevare questa famosa bava senza fare del male all'animaletto.
Si, è tutto vero: probabilmente la principessa della celebre fiaba dei fratelli Grimm che lo ha baciato è rimasta vittima di allucinazioni talmente potenti da vedere la trasformazione in principe solo nella sua immaginazione. Magari il povero rospo sarà ancora lì a chiedersi che diavolo volesse quella pazzoide. Evitiamo però di metterci a sleccazzare tutti i rospi che incontriamo per strada, perché non è comunque semplice trovare quelli "giusti", almeno non in Europa, e rischiereste di aver baciato una cosa viscida e molliccia per nulla; sopratutto perché oltre alle sostanze allucinogene questi rospi particolari secernono anche altre molecole che influiscono sul ritmo cardiaco provocando aritmia e infarti. La sua composizione è molto simile a droghe come il DMT ma con infiniti effetti collaterali in più, tra cui la morte. Probabilmente quindi non ne vale la pena.

Castaneda e il suo Don Juan
Carlos Castaneda, figura carismatica e di grande spicco nel panorama New Age, pubblica il suo primo libro nel 1968 "A scuola dallo stregone", narrando del suo primo incontro con il leggendario Don Juan e di come avesse deciso di seguirlo in un cammino di apprendistato durato più di dieci anni con altrettanti libri, tutti grandi successi editoriali. Castaneda descrive i suoi viaggi sovrannaturali con lo sciamano e di come abbiano trasceso il tempo e lo spazio con il piccolo aiutino di funghi e piante allucinogene; secondo l'autore, Don Juan poteva vedere e usare l'energia del Tutto, ma definì il sentiero che conduce alla conoscenza "difficile e pericoloso". I suoi critici più accaniti sostengono che Don Juan non sia mai esistito e che fosse solo un parto della sua mente sotto l'effetto di sostanze psicotrope. D'altra parte negli anni '70, quando le persone ingollavano qualsiasi cosa, ha avuto anche un nutrito seguito: infatti, sulla scia dei suoi libri, aumentò il consumo incauto dello stramonio e i decessi legati alla sua ingestione. Ma di questo naturalmente, la pianta non ha colpe. E neanche Castaneda, alla fine.


E dunque...
In conclusione lo stramonio non è né buono né cattivo, è il suo uso improprio a fare delle vittime.
Se tutti questi racconti di streghe volanti, diavoli infernali e visioni mistiche vi hanno affascinato, vediamo se riusciamo a farvi passare la voglia di avere a che fare con questa pianta se non per coltivarla come pianta ornamentale... sempre che non abbiate bambini curiosi, gatti impiccioni o cani kamikaze pronti ad assaggiare qualunque cosa viva o morta.

Due ragazzini in Italia, non avendo sottomano degli stupefacenti "classici" hanno optato per fumarsi lo stramonio così, per provare qualcosa di nuovo e perché sapevano vagamente che questa pianta aveva proprietà allucinogene. Uno ha avuto una bruttissima crisi convulsiva, l'altro è rimasto preda di terribili e potenti allucinazioni. Quello con le convulsioni ha rischiato gli stadi successivi, ovvero la paralisi dei muscoli respiratori, il coma e la conseguente morte. Qualche anno dopo, una madre con la figlia sono state intossicate e ricoverate per aver scambiato lo stramonio per una pianta di spinaci. Qualche altro genio della lampada invece ha pensato bene di preparare un infuso e trangugiarlo come se fosse un buon tè pomeridiano finendo in rianimazione poco dopo averlo ingerito. Questi sono soltanto alcuni dei tantissimi casi di avvelenamento finiti bene, ma lo stramonio in genere non perdona: anche due coniugi anziani sono finiti in ospedale per aver scambiato i suoi fiori per fiori di zucca, quindi li hanno colti, impanati, fritti e mangiati per cena. Per fortuna non è stata la loro ultima cena e se la sono cavata per miracolo.
Ma come avevamo accennato all'inizio non è consigliabile neanche toccare questa pianta. Infatti l'illusione del volo magico delle streghe pare non fosse opera di un infuso o di una frittata a base di stramonio, ma di un semplice unguento spalmato sulla pelle: la sorpresina nell'uovo di Pasqua di questa datura è che può intossicare anche per uso topico, non occorre ingerirlo. Certo, strofinare un secondo la foglia per sentirne l'odore (o l'olezzo, in questo caso) non vi farà cadere in coma, ma sarebbe meglio gettarla via subito dopo e possibilmente lavarvi le mani. Uno studio condotto nel 1960 dall'università di Gottingen in Germania ha ricreato uno di questi unguenti utilizzando una ricetta tratta da un testo di magia di un famoso alchimista italiano; i ricercatori riferirono di aver provato tutte le visioni e le sensazioni descritte dalle streghe durante i sabba, ovvero visioni orribili di facce dilaniate, oggetti volanti, sensazioni di volo interrotte poi da un'improvvisa quanto sgradevole caduta. Insomma, veri e propri viaggi dell'orrore.
Inoltre, non ci stancheremo mai di ripeterlo, il confine tra la dose allucinogena e quella letale è davvero pericolosamente sottile a causa della varietà della concentrazione delle sostanze attive presenti nelle diverse parti, quindi se cercate dei paradisi artificiali non è questo il caso; anzi, anche se dovesse andare bene, ovvero usarlo senza lasciarci le penne, le allucinazioni indotte dallo stramonio, come detto sopra, non sono affatto piacevoli o ricreative. È una pianta che ci può affascinare e stregare (in senso letterale, come abbiamo visto), quindi ammiriamone i bellissimi fiori, ampliamo la nostra cultura con la sua affascinante e magica storia etnobotanica e lasciamola esattamente dove si trova, senza farci tentare dall'offrire una bevanda alla suocera invadente o un'insalata al marito che ci ha fatto arrabbiare.
O all'automobilista che ci ha tagliato la strada.
O al politico di turno.
La lista potrebbe allungarsi di parecchio.
Insomma, se davvero fossimo così fuori di testa non basterebbe tutto lo stramonio di questo mondo e non avremmo neanche risolto nulla alla fine. Il perdono è un'arma molto più rivoluzionaria e tagliente in questi ultimi anni avvelenati dalla rabbia e dal desiderio di rivalsa e vendetta.
Rispetto all'ennesimo sociopatico, l'equilibrio personale è qualcosa di davvero pericoloso per un sistema che mira a ridurre l'individuo a un grumo di ansie per il futuro.


BIBLIOGRAFIA

- R. M. Suozzi - "Dizionario delle erbe medicinali", Newton Compton, 1995
- G. Debuigne – "Enciclopedia delle piante della salute", Gremese Editore, 2004
- Dr L. P. Da Legnano – "Le piante medicinali", Edizioni Mediterranee, 1970
- A. Cattabiani "Florario" – Mondadori, 1996
- G. Samorini "Gli allucinogeni nel mito", Nautilus 1995
- R. S. De Ropp "Le droghe e la mente", Cesco Ciapanna Editore, 1980
- Anna Lisa Cantelmi "Herbaria e le piante per volare". Nautilus, 2002
- C. Corvino "Credenze stregoniche e interpretazioni farmacologiche", M. Di Rosa Edizioni, 1990
- Peter t. Furst "Hallucinogens and culture", Chandler & Sharp Publishers, 1976

lunedì 17 settembre 2018

Tutto fumo e niente arresto: la cannabis light




La cannabis a basso contenuto di THC che rilassa ma non “sballa” sta spopolando e ha creato un giro d’affari molto appetibile. Ma la legge non è poi così chiara: il consumatore può stare davvero tranquillo senza incorrere in problemi con la legge? E per cosa si può utilizzare inoltre questa pianta light?



Ormai possiamo trovare della cannabis legale anche dal tabaccaio sotto casa, per non parlare dei servizi dedicati che stanno spuntando come funghi: basta una semplice telefonata e ti arriva direttamente a domicilio con consegna espressa entro un’ora dall’ordine, come la pizza del sabato sera.

Poco importa se ci si riferisce a una forma leggera di canapa, resta comunque uno shock vedere l’aggettivo “legale” accostato al sostantivo “cannabis”. Ma adesso è davvero realtà e speriamo sia il primo di una lunga serie di atti riabilitativi verso una pianta che ha davvero tanto da dare...forse troppo per una società fondata quasi esclusivamente sul pagare qualunque cosa. Ma procediamo con ordine. 

Questa canapa che hanno finalmente legalizzato presenta bassissimi livelli di THC (tetraidrocannabinolo), ovvero la sostanza responsabile dell’effetto psicotropo della pianta più famosa di tutti i tempi: ciò ha dato il via ad almeno due fiorenti mercati paralleli che contemplano usi diversi.


Il primo è quello dei tabaccai di cui sopra o di negozi specializzati nuovi di zecca dove si entra in un altro mondo. È il caso di dirlo, ce ne sono davvero per tutti i palati, anche per i più raffinati: abbiamo una vasta scelta di infiorescenze di cannabis profumate al limone, arancia, mirtillo e persino alcune con sentori di formaggio. Tutte rigorosamente non italiane, confezionate in scatoline da pochissimi grammi e con prezzi da far invidia al mercato nero. Il motivo è presto spiegato: in Italia sono ammesse solo determinate varietà di canapa, non è permesso “giocare” con gli ibridi e dare sfogo alla creatività, quindi per ottenere ad esempio un’infiorescenza di cannabis senza semi, con livelli molto alti di CBD (più avanti vedremo di che si tratta), pochissimo THC e profumata al prosciutto o alla carbonara che sia, è necessario importarla da altri Paesi avanti anni luce sia a livello di leggi che di sperimentazioni. La Svizzera e l’Olanda infatti hanno dovuto solo diminuire il THC dei loro ibridi già esistenti e commercializzati da anni, portarli fino ai limiti consentiti ora dalle nostre leggi (lo 0,6%) e inondare il neonato mercato italiano assetato di novità. Sembra semplice ma oltre i costi di importazione queste piante ibride geneticamente controllate richiedono diverse accortezze e una meticolosa cura quotidiana, per questo i prezzi sono così esorbitanti. Di solito sono coltivate indoor in ambienti protetti, con livelli di umidità strettamente prestabiliti e una serie di altri rigidi parametri che non stiamo qui a sviscerare. Per tutto questo e per il personale addetto c’è naturalmente un costo da sostenere, ma il mercato è in un’ascesa tale da giustificarlo pienamente. Svizzera e Olanda ringraziano sentitamente. A qualcuno sarà pur venuto in mente che se incroci genetici e ricerche fossero effettuati direttamente in Italia i prezzi forse sarebbero un po’ più bassi e si creerebbe una nuova nicchia di posti di lavoro per un mercato che ormai sembra inarrestabile. Non si può. Perché? Non si sa. 

Il nostro Paese era tra i primi produttori mondiali di canapa, anche per il nostro invidiatissimo clima che favorisce la crescita di questa pianta demonizzata peggio di un assassino seriale. Anni fa Beppe Grillo, al netto della sua appartenenza politica, fece uno spettacolo considerato tra i più completi ed esaustivi documentari sulla canapa dove mise in evidenza tutto quello che poteva dare questa straordinaria pianta ad un costo praticamente nullo dato che è quasi un’infestante e cresce facilmente un po’ ovunque. Disse anche che era stata messa fuorilegge per uno dei suoi usi più stupidi, ovvero fumarla. O almeno quella era la scusa. Anche il nostro diavoletto italiano Roberto Benigni la inserì ironicamente in uno dei suoi show dicendo che in realtà Dio non fece piovere la manna dal cielo ma la “canna”. Insomma, c’è chi la ama, chi la odia e soprattutto chi la teme; tra poco capiremo perché.

Questa legalizzazione della cannabis a basso contenuto di THC in realtà si muove e galleggia in un vuoto normativo che in teoria non ne prevede un uso ricreativo. In sostanza, bisognerebbe acquistarla nei negozi specializzati, non aprire la confezione finché non si è in casa perché se ti fermano durante il viaggio con la scatolina violata potrebbero esserci problemi a dimostrare che non ci si è “ricreati” con essa e una volta in salotto appoggiarla sulla mensola del camino e utilizzarla come oggetto da arredamento da osservare o al massimo usarla per profumare gli ambienti. Naturalmente tutti gli acquirenti non vedono l’ora di spendere circa 15 euro al grammo per rimirarla su un comò. Quindi tecnicamente fumarla resta ancora un illecito.



La legge in realtà voleva riaprire le porte alle coltivazioni di canapa industriale e ha finito per aprire uno spiraglio alla canapa legale. Al momento il Consiglio superiore di sanità (Css) ha espresso a giugno il suo verdetto decisamente negativo chiedendo che ne venga bloccata tempestivamente la vendita perché secondo loro anche a basse concentrazioni il THC potrebbe accumularsi in alcuni tessuti come cervello e grasso e fare ipotetici danni che però ancora non sanno individuare. Una posizione durissima cui però il ministro della Salute Giulia Grillo ha risposto con un educato “grazie per il consiglio, vi faremo sapere” promuovendo altre indagini e ricerche prima di prendere qualsiasi decisione. Navighiamo ancora nella nebbia in attesa di capire che direzione prenderà tutto questo.

E così abbiamo abbondantemente descritto il primo fiorente mercato dei due cui abbiamo accennato all’inizio.




 Ora esploriamo la seconda e interessantissima possibilità che contempla un utilizzo infinitamente più ampio e pericoloso del primo: la vera canapa industriale, quella “natural” che è in grado di radere al suolo giri consolidati di miliardi di euro.
Il ritorno della canapa industriale potrebbe portare all’avvento di una mini rivoluzione, se non trovano il modo di bloccarla prima. Inutile tornare su argomenti che ormai conosciamo tutti ma una panoramica veloce è d’obbligo per illustrare la potenziale portata del fenomeno. Dalla canapa si ricava una carta di qualità eccellente, utilizzata già più di 2000 anni fa; naturalmente già bianca, senza l’uso di additivi sbiancanti e senza tagliare un albero. Un ettaro di canapa per la carta rende mediamente circa 3 o 4 volte più di un ettaro di foresta. Questa pianta si sta rivelando una manna (è il caso di dirlo) anche per la bioedilizia: insieme alla calce regala un prodotto che isola efficacemente le case, leggero e resistente al fuoco e che protegge dagli sbalzi termici e dall’umidità. Esiste poi un compensato di canapa e delle case intere realizzate con questa pianta più unica che rara; qui ci sarebbero trattati interi da scrivere solo su questa voce, ma ci limiteremo a constatare che dagli scarti della canapa hanno tirato fuori un materiale con le stesse caratteristiche della plastica. Senza l’aspetto inquinante, naturalmente. Anche le carrozzerie delle macchine potrebbero essere realizzate interamente in canapa. Ma fermiamoci un momento, la lista è ancora lunga.

Per aiutarci a mettere ancora meglio a fuoco la situazione abbiamo sentito un diretto interessato: Matteo Venturini ha 40 anni, è un coltivatore di canapa e presidente dell’associazione “Canapa delle Marche”, il cui scopo è quello di fornire consulenze e servizi agli agricoltori che intendono inserirsi nella coltivazione della canapa a livello locale, abbattere i costi del seme certificato che occorre per legge e organizzare eventi informativi. Una sorta di tutor per chi intende avventurarsi in questo mondo.

Matteo coltiva canapa e ne vende le infiorescenze in sacchetti, non in scatoline da 2 grammi; infatti parliamo di un prodotto molto diverso da quello olandese o svizzero. Queste sono le varietà permesse in Italia di canapa industriale, naturalmente quasi prive di THC ma con un apprezzabile contenuto di CBD, ovvero il cannabidiolo sostanza meno famosa della prima cui abbiamo accennato all’inizio e di cui sono più che ricche le varietà svizzere e olandesi. E in natura deve essere proprio così perché in realtà queste sostanze sono antagoniste, ovvero dove abbonda una scarseggia l’altra. Il CBD infatti contrasterebbe lo “sballo” indotto dal THC, per questo la canapa oggi legale ha un effetto rilassante e non euforizzante; entrambi i principi attivi hanno proprietà sbalorditive anche se a specchio. Il CBD è antinfiammatorio e diversi studi clinici ne hanno dimostrato l’efficacia nel contrastare le convulsioni, per cui si è reso estremamente utile nei trattamenti per l’epilessia. Un’altra importante azione è quella neuroprotettiva nei confronti di malattie degenerative come l’Alzheimer o anche la capacità di attenuare la rigidità muscolare derivante da patologie come la sclerosi multipla. Se il THC in dosi elevate potrebbe causare ansia, il CBD contrasta con le sue proprietà ansiolitiche, antidepressive e antipsicotiche. Questo cannabidiolo, che ha aperto le porte alla canapa legale, è tuttora al centro di infinite ricerche e sperimentazioni date le mille possibilità di applicazioni. Dal canto suo, il cugino “cattivo” o THC si è rivelato altrettanto utile e potente. Se il CBD è un buon antinfiammatorio il THC è un ottimo antidolorifico, se il primo si presta a un’assunzione regolare il secondo è tendenzialmente più per un uso episodico. E cosa assolutamente non trascurabile, i cannabinoidi si stanno rivelando non solo utili a contrastare gli effetti collaterali indotti dalla chemioterapia ma secondo alcune ricerche indurrebbero le cellule tumorali all’apoptosi, ovvero all’autodistruzione. Questo aprirebbe le porte a un altro mondo. Aumenta l’interesse, le ricerche si moltiplicano e i risultati spingono a chiedersi sempre di più come sia stato possibile che una ricchezza del genere venisse messa al bando.

La tisana di canapa industriale è una rilassante e gustosa tisana che facilita la digestione, allevia i dolori e le infiammazioni anche cronici se assunta con regolarità e migliora il tono dell’umore. Questo naturalmente è un riassunto dei riassunti e come abbiamo detto molte proprietà sono ancora oggetto di ricerche e potrebbero venirne fuori delle altre.



Purtroppo la canapa è ancora un prodotto borderline - ci dice Matteo - “ma le sue applicazioni sono infinite e spero che la situazione si definisca chiaramente una volta per tutte. Siamo in tanti a crederci”.

La sua passione lo ha spinto anche a sperimentazioni diverse, come ad esempio quelle culinarie. Sul suo sito troviamo un’intera sezione di ricette realizzate con questa pianta, tra cui il “latte di canapa”, un concentrato di proteine, aminoacidi essenziali e tantissime vitamine come A-D-C-E e diverse del gruppo B, ottime per il sistema nervoso. Basterà prendere 200 gr di semi di canapa, frullarli con 100 ml d’acqua fino a che non risulteranno perfettamente tritati e aggiungere altri 100 ml d’acqua mescolando bene. La quantità di liquidi dipenderà dal grado di densità che vorrete ottenere. A questo punto filtrate il tutto con un colino a maglie stette e conservate in una bottiglia di vetro ben chiusa e in frigorifero per un paio di giorni. Con questa base potrete anche ottenere pancake di canapa, crema pasticcera di canapa e qualunque preparazione a base di latte. Con i fiori di questa tisana si possono aromatizzare torte o biscotti o se vi piace davvero il suo sapore potete farla bollire qualche minuto nel latte “normale” che grazie ai suoi grassi estrarrà tutti i principi attivi e vi regalerà una bevanda rilassante dal gusto ricco e intenso. Forse dovrete dolcificarla leggermente con della polvere di stevia o del miele, a gusto personale.





Come avrete intuito dai nutrienti contenuti nel latte di canapa, i suoi semi sono ormai considerati all’unanimità un superfood, talmente pieni di nutrienti da sfamare e nutrire adeguatamente milioni di persone. Ma non riusciamo a trattare ogni singola voce in questa sede per ovvie ragioni di spazio. Ci limiteremo a dire che tra le applicazioni più importanti e pericolose di questa pianta c’è la produzione di un biodiesel derivato da una seconda e una terza spremitura dei semi: la prima, fatta a freddo, si usa per produrre un olio destinato ad uso alimentare e che racchiude tutte le proprietà di cui sopra. Le estrazioni successive effettuate a caldo distruggono i nutrienti ancora presenti ma regalano un combustibile eccezionale; del resto, a chi interessa che un combustibile per auto mantenga inalterate le vitamine?

In tutto questo spazio sono riuscita solo a fare una panoramica generale, ma spero che ora sia davvero chiara la pericolosità di questa pianta.

Un Paese pieno di colture di canapa utilizzate a pieno regime e in tutte le sue applicazioni manderebbe fallite le imprese di mezzo mondo, con incredibili vantaggi per la salute, per l’ambiente e per le tasche della massa dei consumatori.

E questo naturalmente non è accettabile.

Un ambiente ecologicamente sano è gratis mentre l’inquinamento mette in moto una gran quantità di denaro.

Quale mai potrà essere la scelta più saggia?

Non stupiamoci se si continuerà a contrastare in ogni modo il ritorno di questa pianta. Le scuse potrebbero essere tante.

La versione ricca di THC resta proibita perché provoca euforia e sballo?

Mettete fuori legge gli alcolici e anche la colla, a questo punto.

La combustione è dannosa per chi la fuma?

Ritirate dal mercato anche le sigarette se davvero siete così preoccupati per la nostra salute.

L’abuso può provocare danni?

In caso di abuso ognuno si prende i propri rischi soggettivi: qualunque cosa se portata agli estremi non produce quasi mai effetti positivi. La lattuga è una verdura e quindi per definizione “fa bene” ma forse non tutti sanno che non è proprio il massimo della digeribilità e che se la si consuma in eccesso può causare dei fastidiosi mal di pancia. Il latte è ricco di tanti elementi “buoni” ma se si esagera una bella diarrea non ce la leva nessuno. Anche un abuso di lasagne può avere delle conseguenze, insomma il concetto è chiaro.

Ma forse non per tutti, soprattutto per chi rischia di perdere i propri guadagni. E fa letteralmente “orecchie da mercante”.

venerdì 15 giugno 2018

Il cetriolo e l'ortolano



Non c’è bisogno di scendere in dettagli, conosciamo tutti il famoso detto che si adatta perfettamente alla situazione attuale dell’Italia: siamo noi cittadini i moderni ortolani e ci rendiamo perfettamente conto che i cetrioli sono in continuo aumento. Fermiamoci qui, oggi parliamo dei cetrioli reali, non che gli altri non lo siano, ma ci concentreremo su quelli che portiamo in tavola di questi tempi. 

 

Quando andiamo dall’ortolano, quello vero stavolta, troviamo sempre i cetrioli sistemati sul banco insieme ad altre verdure; infatti vengono venduti come tali perché quasi tutti siamo abituati a fare a fettine un cetriolo e unirlo a un’insalata di lattuga e pomodori. In realtà invece il cetriolo non è un ortaggio ma un frutto e per amore di chiarezza lo è anche il pomodoro: rimarreste stupiti da quanta “frutta” scambiamo per ortaggi. La regola generale è che se nasce dalle foglie, da un fusto o da una radice è una verdura, mentre un frutto nasce invece dal fiore di una pianta dopo essere stato impollinato; inoltre la frutta, al contrario della verdura, contiene dei semi. Quindi anche le melanzane, i peperoni e la zucca sono dei frutti; ci sono alcune eccezioni come ad esempio le fragole che non risultano né dei frutti né delle verdure, sono solo una porzione ingrossata dell’infiorescenza ma con le caratteristiche nutrizionali di un frutto.
Insomma, al di là delle classificazioni botaniche, possiamo mangiarci tutto alla fine.

Il cetriolo quindi è un frutto tipicamente estivo particolare apprezzato in genere da chi gradisce il melone e il cocomero, dato che fanno parte della stessa famiglia. Ha un sapore vagamente amarognolo, molto simile a quello percepito quando si addenta la parte bianca del cocomero. Comunque, a prescindere dal gusto personale, sarebbe molto utile mangiare cetrioli in piena estate per diversi motivi. Prima di tutto contiene un’ottima quantità di sali minerali tra cui spiccano il potassio, (che interviene nel metabolismo dei liquidi e tende ad abbassare la pressione sanguigna) e il fosforo (utile per l’attivazione di diverse vitamine, nella regolazione dell’equilibrio acido/basico e per altre mille funzioni). In estate tendiamo a perdere fin troppi liquidi e di conseguenza tanti minerali; un modo piacevole di porre rimedio è quello di tagliare un cetriolo a fettine e di metterlo in una brocca di vetro con l’acqua per avere a portata di mano una gradevole bevanda rinfrescante e dissetante.
Diversi studi hanno confermato la presenza di antiossidanti come tannini, flavonoidi e vitamina C, in grado di combattere l’azione dei radicali liberi e di ritardare quindi l’invecchiamento cellulare.
Il cetriolo possiede anche la preziosa vitamina K, importante per proteggere le ossa, regolare la risposta infiammatoria e i processi di coagulazione del sangue.


Per parlare di un’altra funzione utile del cetriolo andiamo a scomodare per un momento la “dottrina delle signature”, un concetto alchemico divulgato da Philipp Theophrast Bombast von Hohenheim, meglio conosciuto come Paracelso, ma ripreso più volte nel corso dei secoli. Secondo Paracelso, e non solo ormai, noi facciamo parte di un Tutto dove ogni cosa è inestricabilmente legata all’altra; quindi anche le piante porterebbero una sorta di “firma vegetale” che le segnerebbe a seconda del proprio utilizzo, codificata intuitivamente attraverso il simbolismo e le analogie. In una parola, se una pianta somiglia a una parte del corpo o a un organo interno, vuol dire che avrà una qualche utilità proprio su ciò che le è simile. Di esempi pratici ne abbiamo a secchiate.
Il frutto del fico somiglia incredibilmente a una porzione dell’apparato gastrointestinale con tanto di villi intestinali e guarda un po’, il macerato glicemico di ficus carica è indicato per tutti i disturbi che riguardano stomaco, intestino e digestione in generale. Il pomodoro ha quattro “camere” ed è rosso, vi ricorda qualcosa? Ormai sono tanti gli studi che dimostrano una marcata e benefica attività del pomodoro su cuore e circolazione da non lasciare più dubbi. La carota tagliata a fettine è molto simile ad un occhio con pupilla, iride e linee a raggiera molto evidenti: sarà un caso quindi che contenga betacarotene e luteina, due sostanze da sempre deputate al benessere della vista. La noce sembra una fotografia del nostro cervello con tanto di separazione tra le due metà e persino con i due cervelletti? Oggi non è più un mistero che le noci hanno un ragguardevole contenuto di Omega 3 e 6 e altri nutrienti che alimentano le cellule nervose, aiutando a sviluppare i neurotrasmettitori per le funzioni cerebrali. Credo che il concetto sia chiaro.
Ora, non occorre essere dei detective o avere una mente particolarmente brillante per intuire a quale parte del corpo possa riferirsi un’eventuale signatura del cetriolo.
Incredibile ma vero, è proprio così.

Il cetriolo contiene una particolare sostanza chiamata L-citrullina che non è il precursore della stupidità ma un aminoacido precursore del monossido di azoto, una piccola molecola volatile richiesta per un ottimale funzionamento delle tubature erettili. Infatti questa citrullina sembra essere l’unico aminoacido che non venga degradato dal fegato durante la digestione, quindi ha la possibilità di andarsene in giro nella circolazione periferica e di trasformarsi serenamente prima in L-arginina e poi in monossido di azoto, un potente vasodilatatore particolarmente efficace in caso di disfunzioni erettili di origine vascolare.
Superstizioni, leggende o una saggezza così antica che la nostra moderna e limitata capacità di immaginazione non può più neanche concepire? La risposta è dentro di noi... solo che non è sbagliata, come direbbe il buon Corrado Guzzanti, semplicemente non è uguale per tutti.


Lasciamoci alle spalle la citrullina e accenniamo invece ad alcuni dei mille modi in cui possiamo impiegare la polpa del cetriolo a nostro vantaggio in questa estate italiana, anche se negli ultimi anni le estati hanno ben poco di italiano; siamo in molti ormai ad avere la sensazione di vivere giugno, luglio e agosto all’interno di un vulcano attivo.
Digressioni climatiche a parte, avete presente quell’immagine/cliché di una donna con le fettine di cetriolo sugli occhi o sul viso per pubblicizzare una crema o un istituto di bellezza? Anche qui non siamo lontani dalla verità. Il cetriolo infatti, grazie ai suoi antiossidanti, aiuta a combattere le irritazioni anche della pelle; se ne affettate uno e riponete le fettine in frigorifero potrete prelevarne un paio all’occorrenza, applicarle per qualche minuto sugli occhi stanchi e gonfi e ne ricaverete un gran sollievo. Per lenire le scottature solari o bruciature leggere frullate un cetriolo privato della buccia e riducetelo in una purea da applicare sulla parte interessata per almeno 15 minuti. Lo stesso impacco applicato alla radice dei capelli con un lieve massaggio circolare stimolerà la crescita del bulbo pilifero.
Passando alla casa, potrete utilizzare delle fettine di cetriolo per la pulizia dell’acciaio, per lucidare delle scarpe, per non far appannare i vetri e addirittura come lubrificante per le porte che cigolano. Se proprio non avete voglia di mettervi a lucidare l’acciaio o le vostre scarpe, potreste sempre confezionarvi in casa un’ottima e fresca salsa tzatziki a base di cetriolo e yogurt da abbinare a carne, pesce, verdure grigliate o semplicemente per condire un’insalata in modo originale.


Un suggerimento che potrebbe essere particolarmente utile è quello di impiegarlo dopo una serata un po’ troppo allegra con gli amici. Se avete alzato il gomito, mangiatene uno prima di andare a dormire e al mattino sentirete di meno i fastidiosi postumi della sbornia: a quanto sembra, per merito delle vitamine del gruppo B e degli elettroliti contenuti che sono in grado di ristabilire velocemente un buon equilibrio dell’organismo.

Tra i modi di dire inglesi ce n’è uno che recita “as cool as a cocumber” che significa letteralmente “essere fresco come un cetriolo”; per gli inglesi indica una persona molto calma e composta, senza alcun segno di stress. Sarà il solito caso che le vitamine B sopra citate che contiene ne fanno anche un ottimo rimedio per combattere lo stress e distendere il sistema nervoso.

Un piccolo accorgimento per sceglierli dall’ortolano, sempre quello vero con la bancarella, è di preferire quelli con una bella buccia verde senza striature chiare che presentano un aspetto sodo e compatto.

Curiosamente l’Italia, nonostante sia piena di cetrioli virtuali volanti, non è tra i primi produttori del frutto effettivo ed è anche agli ultimi posti come consumo. I misteri della vita.

sabato 3 dicembre 2016

Non solo Natale: l'abete bianco


Specifichiamo subito che l'abete bianco non è un albero di Natale innevato, così come il tonno non è una scatoletta, ma si tratta di una delle diverse specie di abeti appartenenti alla famiglia delle pinaceae, più in generale è una conifera, che significa letteralmente "portatrice di coni" e che rimanda alla forma conica delle pigne. Le conifere sono un gruppo antico, con fossili che risalgono anche a 300 milioni di anni e che comprendono specie che vanno dall'altezza di un metro fino ad oltre 100 metri, infatti si tratta di tutte piante legnose, soprattutto alberi. Gli esseri viventi più alti, più massicci e più antichi sono conifere, come ad esempio la maestosa sequoia sempervirens, di cui un esemplare è arrivato fino ai 115 metri di altezza. Un palazzo di 30 piani!

Il nostro abete arriva al massimo intorno ai 50 metri, sviluppa un fusto che può arrivare anche ad avere un diametro di 3 metri e vive fino ai 300 anni. Si chiama abete bianco perché le sue foglie sono grossi aghi di colore verde scuro sopra e con due strisce bianche sotto. Non aggiungerò molto sulla descrizione visiva perché stiamo comunque parlando di un albero che, vero o finto, rappresenta un'icona che veste le nostre case a festa da sempre.
L'abete cresce in terreni impervi e molto poveri di nutrimento e con i suoi rami che crescono in orizzontale protegge i piccoli abeti bianchi che hanno bisogno dell'ombra dell'albero madre per crescere.

Nel calendario celtico l'abete era consacrato al giorno della nascita del Fanciullo Divino: giorno supplementare che seguiva il solstizio d'inverno. È legato dunque a tematiche solari e all'eterna dicotomia tra vita e morte: nelle notti lunghe e gelide del nord questo albero, sempreverde e maestoso, era visto come qualcosa di più forte della morte.
Le popolazioni dell'Asia settentrionale consideravano l'abete un "albero cosmico", ovvero un punto di incontro tra alto e basso, tra le profondità della terra e l'inaccessibilità del cielo.
Lo stretto legame tra l'abete e il solstizio d'inverno è ben documentato in tutti i popoli dell'Europa settentrionale. Nel Medioevo ci si recava nel bosco a tagliarne uno che veniva poi portato in casa e decorato con ghirlande, uova dipinte, dolciumi e candele e posto al centro dei festeggiamenti solstiziali. La notte si passava in allegria attorno a quello che assunse il significato di "albero di luce".
Entrare in un bosco di abeti è un po' come entrare in una cattedrale, viene quasi di farlo in punta di piedi per l'atmosfera austera e mistica che emana. La prima cosa è quell'odore resinoso, fresco e dolce che sale immediatamente alle narici e di cui non se ne ha mai abbastanza. Poi appena ci si guarda intorno si nota che la luce è completamente diversa, dato che viene filtrata dai rami, assorbita e restituita molto smorzata al suolo. Un'esperienza tutta da vivere, si ha l'impressione di assorbire un po' di saggezza anche solo camminando in silenzio e aspirando i suoi aromi balsamici.
Fino a non molto tempo fa, ai malati e convalescenti affetti da malattie polmonari, si usava prescrivere il soggiorno in boschi di conifere (abeti, pini, larici) e fare lunghe passeggiate inspirando profondamente quell'aria ricca e odorosa che li avrebbe portati verso la guarigione.


Il principale uso dell'abete è infatti nelle patologie dell'apparato respiratorio come bronchiti, malattie da raffreddamento tosse e simili, per la sua azione balsamica, espettorante e antisettica. Si può assumere in infuso o decotto di gemme e foglie, in tintura idroalcolica oppure sotto forma di sciroppo o fumenti bollenti e profumati. Altre indicazioni meno conosciute sono in casi di agitazione, insonnia e ipertensione. Fondamentale è non eccedere nel dosaggio, cosa che in generale vale per tutto ma in particolar modo per l'abete: per una tintura alcolica basteranno 10-20 gocce in poca acqua un paio di volte al giorno e lontano dai pasti, per assimilarlo al meglio. Per una tisana aromatica e corroborante sarà sufficiente un cucchiaino raso di aghi secchi. Il suo potere decongestinante allevierà in poco tempo i sintomi del raffreddore.
Una preparazione erboristica particolare e non molto conosciuta dal grande pubblico è il gemmoderivato, una soluzione di glicerina vegetale dove giovani getti e germogli vengono immersi per cedere i loro principi attivi e non solo. Pare che il gemmoderivato abbia un'impronta energetica che gli altri preparati non hanno, proprio in virtù del fatto che si tratta delle parti più giovani della pianta che hanno in sé la forza e l'energia della crescita, cosa che la pianta adulta non possiede. Tutto questo è avvalorato dal fatto che spesso i gemmoderivati hanno indicazioni completamente diverse dagli altri preparati. Un esempio pratico ce lo fornisce proprio il nostro abete: i preparati erboristici classici (tisana, tintura e altri) sono indicati, come dicevamo prima, per le patologie dell'apparato respiratorio, ma il gemmoderivato viene prescritto per cose che poco hanno a vedere con i suoi effetti balsamici e anticatarrali. Il gemmoderivato di abete è indicato soprattutto in età pediatrica dato che favorisce la fissazione del calcio nelle ossa, stimola l'accrescimento staturo-ponderale e i globuli rossi e si consiglia anche quando si nota un ritardo nel consolidamento delle fratture. Insomma, indicazioni del tutto differenti da quelle che associamo all'abete bianco; in più, mentre per gli altri preparati erboristici si consiglia una certa attenzione, per il gemmoderivato non ci sono assolutamete problemi di tollerabilità.


Per uso esterno l'abete si mostra altrettanto utile. Dalla sua corteccia si ricava infatti quella che un tempo era chiamata la "trementina di Strasburgo", utilizzata abbondantemente per preparare impiastri e linimenti per reumatismi e lombaggini e non solo. Si tratta di un'oleoresina, tipica delle conifere, che l'albero secerne per cicatrizzare le proprie ferite ed evitare così il contatto con batteri o altri agenti patogeni potenzialmente pericolosi per la vita dell'albero.
La famosa ambra non è altro che la resina fossile delle conifere con dei residui vegetali intrappolati dentro, più raramente degli insetti interi o animaletti vari, anche vertebrati, che ne accrescono il valore economico.

Purtroppo oggi l'abete ha perso molto del suo pubblico in favore di rimedi moderni o di altre piante balsamiche che vanno più "di moda", ma le sue proprietà restano sempre quelle e sempre a disposizione dell'uomo. Come abbiamo visto, in tempi meno recenti era tenuto in grande considerazione; Santa Ildegarda di Bingen, mistica vissuta intorno al 1100 e autrice della prima medicina psicosomatica cristiana, aveva messo a punto una ricetta davvero particolare: la pomata di abete, preparata con panna montata, aghi di abete colti in primavera e un po' di salvia da conservare in vasetti di vetro (oggi da riporre sicuramente in frigo!) e da spalmare sui seni paranasali in caso di congestioni o sul plesso solare per dolori gastrointestinali di origine nervosa.
 

Un breve accenno all'olio essenziale di abete, per il quale servirebbe un piccolo trattato a parte. È piuttosto difficile da trovare, moderatamente costoso e va utilizzato a piccole dosi, meglio solo per uso esterno. Ma ne vale davvero la pena. Diluito in olio d'oliva per un massaggio antireumatico o per frizioni sul petto in caso di malattie da raffreddamento, oppure qualche goccia mischiata ad un po' di miele e lasciata cadere nella vasca da bagno. O semplicemente vaporizzato nella lampada per aromi in camera da letto o nel soggiorno. In ogni caso, la percezione olfattiva dell'olio essenziale opererà i suoi effetti fisici ed emozionali. Sul fisico abbiamo già visto abbondantemente i suoi impieghi e le sue proprietà, sul piano emozionale invece riprendiamo la simbologia antica della pianta. Quella luce assorbita e restituita di cui sopra è quella che l'abete ci restituisce condensata e raccolta nel pieno dell'inverno, una promessa di luce quando intorno c'è solo il buio. Infatti respirare, ingerire o applicarsi sul corpo un preparato a base di abete aiuterebbe a trovare la forza d'animo in momenti di sconforto e ad aprirsi alla possibilità di un futuro più luminoso. Una goccia di essenza applicata sui vestiti farebbe sentire più forti e protetti in situazioni o con persone ostili. Il condizionale è d'obbligo anche se sempre più persone riconoscono e accettano serenamente che il mondo è fatto anche e soprattutto di ciò che non vediamo. E comunque è sempre un esercizio interessante soffermarsi su ciò che ci evoca la nostra personale percezione di un aroma naturale, quali sensazioni si sono amplificate, quali sono scomparse o quali sono apparse dal nulla. Ovviamente si parla esclusivamente di oli essenziali puri, mai di qualcosa "al profumo di".
Ho convinto qualcuno a non abbandonare l'abete dopo il Natale?

sabato 16 luglio 2016

Gelo d'estate: la menta piperita


Abbiamo citato la menta piperita perché è una delle varietà più note, in realtà esistono decine di ibridi più o meno famosi e quasi tutti vantano le stesse proprietà. Anzi, la menta piperita stessa, che è in assoluto la più conosciuta e utilizzata è un ibrido tra varietà più antiche, la menta acquatica e la menta spicata.

Alcune specie rientrano anche nel nostro quotidiano, solo che non ne conosciamo il nome botanico. La menta pulegium, ad esempio, è famosa in tutto il lazio con il nome improprio di "mentuccia", utilizzata abbondantemente nella preparazione di alcuni piatti regionali, come i famosi carciofi alla romana dove spicca come erba aromatica principale. Nell'antichità era famosa per allontanare i parassiti tanto che il suo nome pulegium deriva dal latino pulex, ovvero pulce.

Bisognerebbe rotolarci i gatti come fettine panate, almeno potremmo evitare l'uso di antiparassitari chimici! Peccato che i teneri micini non gradiscano le erbe aromatiche, anche se la menta è una delle poche che potrebbero tollerare.

In teoria, perché in pratica se gli si sventola sotto il naso qualcosa di profumato, il nostro felino ci guarda male. Molto male.

Almeno il mio.



Accantoniamo il gatto e proseguiamo con le varietà di menta che sicuramente sono più profumate.



La menta glacialis e la menta arvensis sono invece quelle con la più alta concentrazione del principio attivo più famoso della menta, il mentolo, utilizzato largamente in profumeria, per confezionare farmaci, nei dentifrici e nei detergenti in generale e nel settore alimentare come aromatizzante. Il mentolo è anche il responsabile della maggior parte degli effetti teraputici della menta.

Una curiosità: esiste una variante giapponese della arvensis che cresce esclusivamente su terreni vulcanici e che pare vanti delle proprietà molto più marcate rispetto ad altre tipologie di menta. Sicuramente è più piccola, selvatica e ha quantità di mentolo più elevate.

O forse è solo l'ennesimo boom pubblicitario erboristico: ogni anno viene "chiacchierata" una pianta in particolare, elogiandone le mille virtù come se fosse stata scoperta in quel momento e non da migliaia di anni e viene semplicemente posta al centro della scena. State sicuri che i marchi più in vista produrranno delle confezioni di capsule o flaconi di sciroppo proprio a base alla pubblicizzatissima di turno.

Un'altra menta ormai molto diffusa è la varietà citrata, più nota con il nome di menta bergamotto, dalle foglie non verdi ma tendenti al rosso e dalla caratteristica nota agrumata. Ottima per aromatizzare il tè.

Da qualche tempo gira anche una menta mohito, sicuramente una varietà molto più recente e che prende il nome dal famoso cocktail a base di menta, lime, rum e zucchero di canna; pare che questa menta, dal gusto più delicato e meno pungente delle altre, sia il segreto per la preparazione originale del mohito.

Chiudiamo con l'ancora diversa menta marocchina, utilizzata per preparare il famoso tè del Marocco: denso, dolcissimo e dal profumo inconfondibile di questa particolare menta dalle foglie aghiformi, simili a quelle del rosmarino. Ho depredato la mia pianta molto spesso per prepararlo.



Comunque, a prescindere dalle singole varietà, abbiamo detto che tutte le specie o sottospecie vantano più o meno le stesse proprietà.


 

La menta ha una spiccata attività sull'apparato digerente e su quello respiratorio.

Si occupa di presenziare e intervenire in tutte le fasi della digestione: è sia un ottimo aperitivo, ovvero in grado di stimolare il senso della fame dove non c'è, che un miracoloso digestivo in caso la fame abbia invece preso il sopravvento.

Una tazza di infuso di menta piperita (o altra specie) vi aiuterà a digerire il superpranzo di nonna Pina e vi lascerà anche un'ottima bocca. Non a caso, il suo principio attivo più famoso, il mentolo, è noto per combattere l'alitosi. Ha un'azione marcata sul fegato, perché aumenta la produzione di bile e il suo olio essenziale pare sia in grado di contribuire all'eliminazione dei calcoli biliari. E' raccomandata dunque nelle digestioni difficili, nella nausea, nelle aerofagie e nelle intossicazioni gastrointestinali. Un tempo si prescriveva anche nella tosse convulsa, unita a un pizzico di fiori di lavanda.

Se non avete ancora provato il sapore di lavanda e menta insieme, che abbiate la tosse o meno, fatelo perché è una vera scoperta; ovviamente con questo caldo potete berla tiepida o addirittura trattarla come una buona bibita da tenere in frigo, magari dolcificandola con un po' di zucchero di canna o della polvere di stevia. Una delizia da assaporare al posto della classica limonata estiva.



I medici una volta la raccomandavano come stimolante per chiunque soffrisse di debolezza generale, dovuta a malattie in corso o appena terminate, in cui il paziente aveva bisogno di riprendersi e di rimettere in moto le naturali funzioni dell'organismo.

Per il mal di testa si usava spesso strofinare delle foglie di menta sulle tempie, dato che è molto attiva sul sistema nervoso. Dopo vedremo come.



Per l'apparato respiratorio, come dicevamo, è una vera e propria panacea. Espettorante e spasmolitica, la menta deve gran parte dei suoi effetti terapeutici al mentolo che ha un ottimo potere antisettico. Talmente potente che medici come il dottor Koch, noto per il suo bacillo, sperimentò che in una soluzione allo 0,50 per cento, l'olio essenziale di menta distrugge i bacilli del colera.
Altri medici stabilirono che non c'era nulla di meglio per sterminare i germi di origine parassitaria come la difterite e la tisi, oltre il colera.

Da notare che in questi ultimi casi si parla di olio essenziale di menta, non della pianta intera. E questi utilizzi sarebbe meglio lasciarli ai professionisti.

Ricordiamo che il mentolo è il responsabile della maggior parte degli effetti terapeutici della menta. Ma non di tutti. L'olio essenziale è sicuramente un concentrato di mentolo, ma non è detto che sia da preferire in tutti i casi. Ad esempio, è indicato per tutte le irritazioni della pelle, essendo un antipruriginoso, ma in diluizioni appena superiori all'uno per cento, diventa irritante a sua volta. Ad alte dosi è tossico, quindi molto più difficile da maneggiare rispetto ad una semplice tisana... che contiene anche mentolo, oltre a tutti gli altri componenti della pianta che nel loro complesso hanno un senso e un'utilità ben definita. A meno che non ricompaia il colera o simili, è sempre l'insieme che funziona meglio rispetto all'isolamento di un singolo componente.

E vale tanto per gli umani che per le piante.



Lasciamo il colera ai tempi che furono e torniamo ai neanche troppo banali raffreddori e influenze, dato che possono colpire con intensità molto variabili. In tutti i casi, diverse tazze di infuso di menta al giorno (non certo una sola) apporteranno un deciso sollievo per tosse secca, asma, costipazioni bronchiali, sinusite e abbassamenti di voce, insomma tutte le manifestazioni sintomatiche delle malattie da raffreddamento. Il potere antisettico del mentolo, d'altra parte, come arriva a dare fastidio ai patogeni che provocano ad esempio, la diarrea, allo stesso modo infastidisce l'azione batterica a livello respiratorio. Arriva ovunque.

Per uso esterno gli utilizzi della menta sono altrettanto variegati.

I lavaggi e le frizioni con acqua di menta sono di efficacia più che collaudata; per i dolori reumatici si utilizzavano i bagni e successivamente le frizioni con olio essenziale (sempre diluito), o anche per le nevralgie facciali o l'emicrania. Si possono fare dei gargarismi per gengivite, stomatite o semplicemente per profumare l'alito. E se avete preparato troppo infuso e non avete più voglia di berlo, non gettatelo via: intingendo un batuffolo di ovatta, diventa un ottimo tonico per il viso oppure applicandolo sul cuoio capelluto senza risciacquare fungerà da astringente per i capelli eccessivamente grassi e aiuterà a combattere la forfora.
  



C'era una vecchia diatriba su questa pianta, ovvero menti brillanti che sostenevano esattamente l'uno l'opposto dell'altro: Ippocrate e Aristotele la giudicavano anafrodisiaca mentre il Mattioli e altri sostenevano che invece favorisse la libido.

Gli ebrei cospargevano di menta il letto degli sposi novelli e veniva utilizzata dalle fattucchiere nelle preparazioni di filtri d'amore.

Gli antichi romani proibirono addirittura con una legge di piantare e utilizzare la menta in tempi di guerra perché si credeva che esercitasse "un'azione deleteria sulla secrezione seminale e che deprimesse coraggio e virilità".

Chi aveva ragione?

Dioscoride spiegò che pur accendendo il desiderio sessuale, renderebbe le donne sterili: applicata preventivamente, ostacolerebbe il concepimento impedendo al liquido seminale di coagularsi. O almeno questo si credeva.

Presa in grande quantità, indebolirebbe anche l'organismo..come farebbe qualunque sostanza di cui si tende ad abusare. Forse è per questo che se ne vietava l'uso durante la guerra, ossessione del genere umano da sempre.



Abbiamo menzionato la parola "gelo" associata alla menta. Ogni volta che assaggiamo o utilizziamo un prodotto esterno a base di menta proviamo un brivido di freddo...o al massimo di fresco, in estate. Eppure non ci sono variazioni reali di temperatura. E allora perché?

Esattamente come fa la capsaicina, principio attivo del peperoncino, il mentolo inganna il nostro cervello con un complicato meccanismo di neurotrasmettitori e recettori che non stiamo qui a sviscerare, facendogli credere che ci sia qualcosa di gelido mentre invece è tutto falso. E' questa la famosa azione della menta sul sistema nervoso. E questo inganno permette mille e più benefici. Pensiamo ad esempio agli stati infiammatori, disturbi chiaramente provocati da eccesso di calore; applicando un semplice unguento alla menta, il recettore responsabile comunica subito al cervello il cambio di temperatura, placando immediatamente il bruciore fastidioso (e spesso anche doloroso) dell'infiammazione e apportando un istantaneo sollievo.

Il nostro corpo può così beneficiare degli effetti del freddo anche in piena canicola. Approfittatene a piene mani con uno sciroppo o un gelato di menta fatti in casa o se volete le maniere forti prendete un flacone da 100 ml con spruzzatore, riempitelo di acqua distillata e aggiungete una o due gocce di olio essenziale puro di menta. Agitate e spruzzate senza pietà su tutto il corpo, evitando le mucose e gli occhi, chiaramente.

Non vi sentite già un po' più freschi?