domenica 26 luglio 2015

Il nome della rosa

Paura, eh?
Tranquilli, le pagine di questo post non contengono veleno virtuale e non ci sono frati investigatori o monaci pazzi, fanatici e assassini. Spero che il buon professore non me ne voglia per aver profanato il suo capolavoro :)

Come avrete intuito oggi parliamo della rosa e del suo nome, che evoca giardini lontani e notti odorose.


Alfredo Cattabiani, dedicò alla rosa il primo capitolo del suo libro “Florario”, summa di tutto lo scibile su mitologia e simbologia del regno vegetale, e lo chiamò semplicemente “una rosa è una rosa”. Nel senso che non esiste altro fiore che evoca un'immagine così nitida e immediata come la rosa. E' il fiore dei fiori, la regina incontrastata di tutto ciò che è fatto di petali e profumo.

La natura della rosa è donna; il suo profumo evoca parti oscure dell'animo femminile, illumina gli anfratti del nostro cuore e può trovare luce e zone traboccanti d'amore o lati di noi sconosciuti, completamente bui e aridi. Per questo, paradossalmente, molte donne odiano il profumo mistico e sensuale sprigionato dalla rosa. Perché spesso obbliga a guardarsi dentro. Si dice che sia amato dalle donne con una vita emotiva molto forte e odiato da chi invece ama esercitare il controllo sugli aspetti emozionali della vita.

“Maria rosa, Eva spina”, si diceva riassumendo la contrapposizione biblica tra la prima donna e la madre di Gesù.
Come dalle pungenti spine nasce la morbida rosa, così dalla stirpe di Eva uscì Maria e la nuova vergine riparò l'errore della prima. Dalla Giudea spuntò Maria come dalle spine la rosa” (Sedulio, V sec.).
E' in onore della Rosa Maria che si recita il rosario, cominciato a diffondersi dal XII secolo.

Nella sua Domus Aurea Nerone aveva fatto realizzare un soffitto rotante che rappresentava lo zodiaco e da cui cadeva sui commensali una pioggia di petali di rose, pagati a peso d'oro dall'imperatore. In epoca imperiale le rose erano abbondantemente coltivate, anche in inverno dentro speciali serre, perché erano il principale ornamento di feste e cerimonie varie.
Il grande medico Avicenna fu il primo a produrre un'essenza profumata distillando petali di rose, ma del resto gli arabi hanno sempre fatto di questo fiore un vero e proprio culto: ancora oggi considerano una grande raffinatezza offrire bevande su cui galleggiano petali di rosa.


La rosa è tra le prime piante indicate come obbligatorie nel famoso Editto di Carlo Magno per le sue proprietà medicinali; secondo Plinio erano più di trenta le malattie curabili con la rosa, tra cui alcune gravissime come vaiolo e tubercolosi. In realtà sia i fiori ma soprattutto i frutti delle rose, chiamati cinorroidi, sono ricchi di vitamina C e altre preziose sostanze.

Esistono migliaia di varietà di rose, tuttavia per uso alimentare sono da preferirsi quelle selvatiche, in particolare la rosa canina, così chiamata perché sembra che in passato le sue radici venissero usate per curare la rabbia.
Non c'è spazio per decantare il suo miliardo di usi esterni: ci limiteremo solo a dire che i tipi di pelle su cui la rosa ha il suo migliore effetto sono quelle secche, sciupate, rugose o affette da couperose.

Secondo il farmacologo del XVII secolo Culpeper “i petali di rosa essiccati e ridotti in polvere alleviano i flussi mestruali abbondanti e altri tipi di sanguinamenti. Piccole quantità di vino in cui sono stati macerati dei petali di rosa alleviano mal di testa, mal di denti, i disturbi agli occhi, alle orecchie, alla gola e alle gengive. Sono efficaci anche per curare il dolore addominale e l'utero”.
Le sue proprietà terapeutiche sono note anche in Asia; in uno dei più antichi testi di Medicina Cinese si legge che le rose sono attive nelle costipazioni e negli edemi. Negli ultimi anni, gli studi hanno dimostrato che oltre l'utilissima e fondamentale vitamina C, la rosa contiene anche le vitamine A e P e ha le proprietà di alleviare la stanchezza causata dallo stress, il torcicollo, l'insonnia, il mal di stomaco e il nervosismo. E oltre a tutti gli effetti curativi, un bouquet di rose aiuta a dare sollievo in una giornata frenetica e a rendere più luminosa la vita. Addirittura un poeta lirico greco decantò la capacità del balsamo di rosa di “calmare il cuore che batte pieno di angoscia”.

Le moderne ricerche non hanno aggiunto molto agli studi di Culpeper: degli studi condotti negli Stati Uniti dimostrano che l'olio di rosa può stimolare la produzione di bile e quindi essere utile in alcune patologie epatiche.
Da notare che l'olio essenziale di rosa non è affatto rosa ma verde, il colore che la medicina cinese ascrive all'elemento legno e quindi (sorpresa!) al fegato. 
La solita coincidenza? Forse che si, forse che no :)


Nel mare di informazioni che circonda questo fiore, vorrei spendere due parole appunto sull'olio essenziale che si estrae dai suoi petali.
Cominciamo subito con il chiarire che l'olio di rosa, se estratto correttamente e non adulterato, è una delle essenze più pregiate e costose al mondo. Proprio per questo in commercio si trovano oli essenziali di diversi gradi di bontà, ma mai (o quasi) puri. E comunque ve ne accorgereste dal prezzo. Quando e se vi capiterà di vedere una microscopica bottiglietta da 3 ml al prezzo di una macchina usata, state sicuri che avete davanti dell'estratto puro di rosa. Occorrono circa trenta rose per ottenere una sola goccia di olio essenziale. E ci vuole molto poco per guastare quell'aroma sottile e un po' evanescente che ne è tipico, per cui le procedure per produrre un olio di qualità sono abbastanza complesse e la riuscita non è sempre garantita.

La vera e famosa acqua di rose, usata da sempre contro le infiammazioni e per mantenere una pelle morbida e idratata, è ciò che rimane del processo di distillazione dell'olio essenziale: un'acqua aromatica pregna di minuscole particelle odorose non evaporate. Chiaramente si tratta di un prodotto difficile da trovare e anche piuttosto costoso.
Un approccio abbordabile è trovare un buon olio essenziale che sia stato solo allungato con altri oli vegetali. Sarà diluito ma almeno non dannoso. Con una spesa di 12-13 euro ci si porta a casa primavera e buonumore. Altri invece chiamano “essenza di rosa” dei preparati che già in partenza non hanno nulla a che vedere con il nostro fiore: insomma, i soliti chimiconi. In laboratorio si può riprodurre la quasi totalità di sapori e profumi. La differenza è abbastanza evidente, uno fa venire mal di testa e l'altro no. A voi il compito di scoprire quale. In generale, diffidate di un olio essenziale di rosa che costa 3 euro.

Una volta si diceva che il mese delle rose fosse maggio. Non so voi, ma siamo in pieno luglio e il mio giardino rigurgita rose come se non ci fosse un domani. Tutte le varietà sono in fiore, comprese delle talee di un mesetto fa che avevamo piantato solo per non buttarle via. Meglio, così passiamo direttamente alle mediricette :)

L'acqua di rose era molto usata anche in cucina per conferire un tocco gradevole e raffinato alle pietanze, anche se oggi è stata piuttosto messa da parte e spesso si utilizzano i petali o addirittura i boccioli interi.
Le sfizioserie che seguono le ho trovate in questo libretto, piccolo ma ben fornito.


Con mezzo chilo di petali 1,2 kg di zucchero e il succo di tre limoni, si prepara un'ottima marmellata.
Se non si hanno a disposizione grosse quantità, con 50 gr di petali appena coperti di acqua bollente, fatti macerare per un giorno intero e strizzati bene si ottiene un liquido aromatico che potremmo miscelare al miele e avere così un miele aromatico da usare per infusi e dolci.

Una signora polacca mi ha suggerito questa deliziosa variante: versare del succo di limone sui petali e lasciar macerare anche questi 24 ore; il limone estrae colore e aroma dalle rose. Si conserva in bottiglie e si diluisce con acqua fresca e zucchero per delle golose e dissetanti bibite estive.

Questa è deliziosa:
Cup alle rose
Tenete in infusione in un recipiente in frigorifero (per circa un ora) i petali di 5 o 6 rose molto profumate in una bottiglia di vino bianco secco con il succo di mezzo limone e 150 gr di zucchero. Filtrare, unire una bottiglia di spumante e decorare con altri petali.

Infine una ricetta veramente curiosa:
Merluzzo alle rose
Mettete a marinare in frigo per almeno tre ore il filetto di merluzzo con un filo d'olio di oliva, sale, pepe e i petali lavati e asciugati di due rose. Poi prendere il pesce con tutta la sua marinata, trasferirlo in un cartoccio d'alluminio e passarlo in forno già caldo per 20 minuti a 180 gradi. Adagiare altri petali sul piatto di portata e sistemare sopra i filetti già cotti e coperti del loro sugo.



Non avete voglia di andare in giardino per farvi una bella mangiata?

Un saluto e buona settimana a tutti :)

domenica 19 luglio 2015

Tè bianco, rosso e verdone

Non saranno simpatici come Carlo ma decisamente buonissimi. E tanti. Ce ne sono un'infinità. Il tè può essere di tutti i colori ma, sorpresa, la pianta è una sola. Per ovvi motivi di tempi e spazi, prenderemo in considerazione solo poche varianti.

In effetti sul tè ci sono tantissimi malintesi. Più di una volta ho sentito parlare di tè di camomilla, di tè di mirtillo e addirittura di tè per andare in bagno. Sarebbe bellissimo se una sola pianta potesse assolvere contemporaneamente tutte le funzioni richieste, compresa quella di regolarizzare l'intestino, ma in realtà molti confondono la parola infuso con la pianta del tè vera e propria. Un infuso può essere di camomilla, di mirtillo e di qualunque altra erba lasciata “infondere” in acqua calda. Il tè è solo la pianta del tè.
Anche quello che viene chiamato "tè rosso" viene da un'altra pianta, una leguminosa sudafricana chiamata rooibos che produce una bevanda dissetante e senza caffeina. Personalmente non lo amo molto, ma so che piace.

Tutte le varietà conosciute di vero tè provengono esclusivamente dalla Camellia Sinensis, poi una serie di fattori come la zona di produzione, il clima e altro, ne determinano le varie tipologie. In realtà la differenza più grande è data dai metodi di lavorazione che le foglie subiscono dopo la raccolta. Il processo alla base di tutto si chiama ossidazione o fermentazione. 


Quello che conosciamo come tè nero, è il té più fermentato di tutti.
Le delicate foglioline e i teneri germogli della pianta vengono lasciati ad appassire in modo da far perdere l'acqua in esse contenuta, renderle morbide e poterle in seguito rullare, processo che ha lo scopo di rompere le membrane cellulari e far affiorare i succhi in superficie. Passano poi alla fase di ossidazione dove le foglie vengono distese e lasciate per diverse ore in ambienti con forte umidità e temperature attorno ai 30°. Il processo viene interrotto con potenti getti di aria calda, e le foglioline fermentate vengono preparate per l'essiccazione definitiva. Le varietà più famose sono il Darjeeling e il Ceylon. Il famoso Earl Grey non è altro che una varietà di tè nero aromatizzata al bergamotto.

Il tè bianco è un tè molto pregiato che prende il nome dalla peluria bianca presente sulle gemme. La produzione è molto ridotta perché il raccolto ha una durata di soli 5-6 giorni e consiste nella selezione manuale della prima gemma di ogni ramo. I te' bianchi in tazza presentano una infusione molto chiara dal gusto delicato e dolce, a volte mielato. In alcune varietà la delicatezza e' tale che un palato poco abituato potrebbe non percepirne il gusto. Assolutamente imperdibile per gli appassionati.

Naturalmente il migliore lo abbiamo tenuto per ultimo.
Il tè verde, giustamente e finalmente salito alla ribalta negli ultimi anni, è la forma di tè più integrale, ovvero quella che mantiene inalterate tutte le eccezionali caratteristiche di questa pianta meravigliosa. Il motivo è che non viene sottoposto a nessuna fermentazione, ma passato direttamente all'essiccazione, per cui mantiene il suo colore naturale e soprattutto le sue proprietà.
Non proviamo neanche a parlare delle sue innumerevoli varietà, una più buona dell'altra.

Purtroppo il processo di fermentazione, per quanto produca delle bevande corpose e gradevoli, distrugge in gran parte gli elementi attivi e quindi i benefici che può dare la pianta. Che nel caso del tè non sono pochi.
Ci sarebbero anche i tè oolong che, con la loro ossidazione solo parziale, rappresentano una via di mezzo tra le proprietà e la freschezza dei tè verdi e il gusto più delicato e meno aspro di quelli neri. Una tipologia da circa 15 euro l'etto è il milk oolong, ottenuto con un processo artigianale che comprende la vaporizzazione di latte sulle foglie che conferisce al tè un sapore unico e particolarmente dolce. 


Cominciamo con il dire che le foglioline di questa pianta sono usate con successo da almeno 4000 anni. I più accaniti e tradizionali consumatori sono cinesi e giapponesi, ma noi europei ci stiamo facendo largo, soprattutto con l'usanza di aromatizzare il tè con fiori e frutti vari. L'Inghilterra è un Paese che ne ha fatto la sua bevanda nazionale, praticamente a pari merito con la birra. La scienza ha ormai confermato ciò che monaci e imperatori sapevano da sempre.
“Il tè”-si diceva- “è una medicina miracolosa per prolungare la vita”.
In Giappone le donne che insegnano la cerimonia del tè (e che quindi ne assumono in quantità più elevate rispetto alla norma) sono famose per la loro longevità.
Infatti le sue straordinarie proprietà anti invecchiamento oggi sono note a tutti e tantissime le ricerche che evidenziano un'importante attività che contrasterebbe l'insorgere dei tumori.

Il potente effetto antiossidante del tè inibisce l'ossidazione del colesterolo nelle arterie, aumenta la capacità di bruciare i grassi e aiuta l'eliminazione dei liquidi in eccesso.

Pare sia un potente disinfettante intestinale, che assunto con i cibi riduca i rischi di avvelenamento e che possa eliminare i batteri del cavo orale responsabile di carie e alito cattivo. E molto altro ancora. Citare anche solo nominalmente le innumerevoli ricerche e sperimentazioni condotte sul tè verde richiederebbe molto più di un articolo.

Per dovere di cronaca, riporterò anche l'unica ricerca che ha tentato di mettere in relazione il consumo di tè verde con l'aumento dei casi di cancro all'esofago. Da quello che è venuto fuori, il problema sarebbe l'alta temperatura della bevanda. In poche parole, il tè risulterebbe essere una minaccia solo se consumato bollente.
Del resto, la medicina cinese mette in guardia dal mandare giù cibi fumanti, che siano tè, caffè o minestre. E se andiamo a guardare bene, anche la cerimonia del tè, con i suoi lunghi e armonici tempi, fa in modo che sia bevuto a una temperatura accettabile.

I puristi lo degustano dopo soli due minuti di infusione altrimenti pare diventi amaro, mentre altri esperti consigliano un riposo di almeno dieci minuti per attivare le sostanze antiossidanti. In ogni caso, provate e sperimentate per stabilire il vostro gusto. Personalmente, in inverno non supero i 5 minuti di infusione mentre in estate ci vado giù pesante sia di condimenti che di tempo per renderlo corposo e più consono possibile alle esigenze dell'organismo con 40° all'ombra. Si suda e si perdono sali minerali preziosi che andrebbero reintegrati.
E infatti oggi miriamo proprio a questo.


Potrei suggerirvi delle ricettine meravigliose che ho sperimentato negli anni, a partire dai cioccolatini ripieni di mousse al tè bianco fino al burro di tè verde per tartine, ma... non vi viene la rosolia solo a pensarci?? Queste chicche grasse, burrose e squisite ce le teniamo per l'inverno, quando il nostro organismo implorerà qualcosa di più sostanzioso. Dedicheremo al tè un post natalizio :)

Oggi andiamo invece su qualcosa di solo apparentemente semplice. L'umile tè freddo. Ma preparato in casa con ingredienti più che DOC. Un bicchiere di questa meraviglia vi rimette al mondo e contemporaneamente vi farà l'effetto di un cocktail rinvigorente.

Queste sono dosi da cammello, ma bastano a malapena per pochi giorni!
Il mio pentolone più grande arriva a

7 litri e mezzo di acqua
14 bustine da circa 1,75 gr l'una di tè verde o nero bio
3 limoni non trattati
3 etti di zucchero il più integrale possibile.

Prima di accendere il fuoco sotto il pentolone tolgo la buccia ai limoni e la aggiungo all'acqua. Una volta raggiunto il quasi bollore spengo e vi aggiungo le bustine; senza coprire, le lascio almeno 10 minuti, poi le tolgo dopo averle strizzate bene e aggiungo lo zucchero e il succo dei limoni. Far freddare bene, imbottigliare (filtrare, se preferite) e mettere in fresco.
Per questa mole di liquido le bustine sono il metodo più pratico, ma se avete voglia di perderci un po' più di tempo, il tè sfuso regala più soddisfazione al palato.

Due parole sullo zucchero: non utilizzate il falso zucchero di canna, per intenderci come le bustine del bar che non è altro che zucchero bianco con un po' di fondotinta. Cercate un buon negozio di alimenti biologici oppure all'interno dei supermercati più forniti troverete una sezione del commercio equo e solidale. Tra i migliori Panela e Mascobado. Certo, costano un occhio (parliamo dei 70 cent per 1 kg di zucchero bianco contro i 4 euro e più per solo mezzo kg dell'altro), ma ne vale la pena sotto tutti i punti di vista.
La tipologia di zucchero cui mi riferisco è di un marrone irregolare abbastanza scuro, ha una consistenza un po' umida e profuma vagamente di liquirizia. Ed è praticamente linfa pura di canna da zucchero tritata senza perdere nulla delle sue proprietà (che vedremo nel dettaglio alla prossima occasione) e che ha un potere dolcificante infinitamente maggiore dello zuccheraccio che siamo abituati a consumare.
E' il vero segreto del mio tè (insieme alle fondamentali scorze di limone) che, vi assicuro, una volta provato non mollerete più.
Potete anche trasformarlo in golosi ghiaccioli con gli appositi stampi. Nutrienti e dissetanti.

Oppure potete gelificarlo come il gelsomino o farne degli squisiti sorbetti.

Al solito, ci sarebbe da dire tanto altro su questa pianta meravigliosa e lo faremo in seguito. Tanti personaggi, famosi e non, ne hanno apprezzato e decantato le virtù.

Un celebre scrittore e pensatore giapponese scrisse nel 1906 che “Il tè non ha l’arroganza del vino, né la supponenza del caffè e neppure la leziosa innocenza del cacao”.

Rende l'idea, vero? 

Buona settimana a tutti!

Photo credit: bastus917 / Foter / CC BY-SA 
Photo credit: A Girl With Tea / Foter / CC BY
Photo credit: katerha / Foter / CC BY

domenica 12 luglio 2015

La papagna la va in campagna


uno stralcio di medicina popolare del secolo scorso

Agli inizi del 900 era di gran moda fra i contadini e in generale in bassa Italia coltivare, vendere o acquistare questa papagna. Mia nonna racconta che suo padre non ha mai voluto darla a lei e ai suoi fratelli, si limitava a coltivarla per la vendita. Ma per i contadini con una dozzina di figli urlanti al seguito probabilmente era l'unica speranza di avere un po' di pace alla fine di una lunga e faticosa giornata di lavoro. E spesso anche durante. Non erano pochi i genitori che rifornivano di papagna i figlioli anche e soprattutto di giorno, per poter lavorare.

Uno dei bimbi piangeva per il mal di denti? Gli davano questa papagna e via a letto. Sparito il mal di denti e sparito il bimbo (o meglio, il suo pianto) per tutta la notte. Un altro piangeva solo per un capriccio? Papagna anche per lui, capricci sedati e bambino pure. Meraviglioso. Conosco diversi genitori che sarebbero interessati. Ma questa tradizione della papagna è ormai caduta in disuso già a partire dagli anni '50, forse anche alla luce delle nuove informazioni che continuavano a venire fuori sulla pianta.
Un carabiniere in pensione racconta di un bambino che piangeva disperatamente giorno e notte. All'epoca i genitori pensavano che fossero solo capricci, solo molto tempo dopo si resero conto che il piccolo era sordomuto. Naturalmente all'epoca non esisteva una casistica medica così ben fornita cui fare riferimento, per cui prima che la diagnosi venisse azzeccata questa povera creatura ha ingurgitato litri e litri di papagna.

Che cosa è questa benedetta papagna? Benedetta per modo di dire. Anche Alfredo Cattabiani la cataloga come pianta “equivoca”, amica dell'oblio e del torpore.
Quando mia nonna raccontava questi aneddoti, non sapevo cosa fosse. O meglio. Conoscevo la sostanza di cui si parla, ma con un altro nome: oppio.



E' tutto vero! Facevano gli infusi per i bambini con le gigantesche teste del papavero da oppio.
“E dovevi vedere come si addormentavano subito!”, ridono gli ultranovantenni che ancora ricordano.
Non si beveva a tazze o tazzine come qualunque altro infuso (a meno che non si desiderasse incontrare il Creatore dopo il primo sorso) ma a gocce. La forma più curiosa di assunzione è il “pupillo”, termine dialettale rinvenuto nella provincia di Taranto: una specie di ciuccio rudimentale fatto in casa avvolgendo una pallina di zucchero bagnata con poche gocce di infuso in una pezzuola di tela. Oppure si dava da succhiare un pezzo di lino bianco imbevuto di latte, miele e papagna. Pare che il sapore fosse davvero orrendo e che andasse mascherato da una qualche sostanza zuccherina.
Esistono testimonianze di bambini caduti addormentati per due o tre giorni per qualche goccia di infuso in più, lasciando così maggior tempo ai genitori, altri invece sono stati più generosi: sono morti direttamente. Le dosi esatte non erano mai pesate, si faceva a occhio. Qualche volta, appunto, non andava troppo bene.


Conosciuto ed utilizzato dal 5000 a.C. il Papaver Somniferum era conosciuto come il fiore “che dona la gioia e l'ebbrezza”,come risulta da tavolette di argilla in scrittura cuneiforme rinvenute tra il Tigri e l'Eufrate. 
Ippocrate lo prescriveva abbondantemente e per malattie diverse. Ma già dal secolo a lui successivo si cominciò a mettere in guardia sul suo abuso visto che i medici spesso ne somministravano per clistere tanto da procurare la morte di alcuni pazienti. Paracelso stesso morì intossicato dall'oppio. Nella medicina araba fu introdotto da Ibn Sina, meglio conosciuto come Avicenna e anche lui, si dice, stessa fine di Paracelso: avvelenamento da oppio.
Toglie il dolore ma in cambio chiede tantissimo.

Il preparato più famoso a base di questa sostanza double face è sicuramente il laudano (messo a punto da Paracelso), praticamente una tintura di oppio, miscelata ad altre spezie come zafferano, cannella e chiodi di garofano che pare ne mascherassero il cattivo sapore.
Fu utilizzato per secoli come analgesico, sedativo della tosse e contro la diarrea.

L'oppio non è altro che il lattice che sgorga incidendo le capsule immature di questo fiore, il Papaver Somniferum.
Per carità non fateci il gelato o una bibita!

Contiene numerosi principi attivi e molti alcaloidi preziosi utilizzati in medicina come morfina, codeina e narcotina, tra i più conosciuti. Dico preziosi perché tantissime persone soffrono di dolori atroci, spesso perenni e incurabili, tanto da dover ricorrere agli antidolorifici tutti i giorni. Ora, gli antidolorifici (FANS) più potenti, presi quotidianamente e per lunghi periodi, possono causare danni agli organi interni, specialmente alle persone anziane con malattie e dolori cronici.
In questo caso gli oppiacei sono buoni alleati perché risultano sorprendentemente non tossici per l'organismo.
Ma presentano altri inconvenienti.
La qualità della vita spesso ne risente. Non siamo più lucidi, svegli e presenti ma viviamo in uno stato di perenne trance.  
Bastano poche settimane di assunzioni massicce a sviluppare una forte dipendenza sia fisica che psichica.
Il bisogno aumenta a dismisura, le dosi vanno rapidamente in crescendo e le crisi di astinenza in mancanza di somministrazione sono sgradevoli e dolorose spesso quanto il dolore che aiutano a combattere. Ma pare non mettano a rischio la vita.

Invece, proprio per la facile assuefazione dell'organismo e il conseguente aumento del dosaggio, il rischio di intossicazione è sempre dietro l'angolo.
E quello si che mette a rischio la vita.
Questo pare valga quasi esclusivamente per chi decide di sollazzarsi con questa potente sostanza senza averne realmente bisogno.

Degli studi condotti dall'Università di Bologna dimostrano infatti grandi differenze tra chi assume oppiacei per divertimento e chi invece a scopo terapeutico. Pare che negli anziani il rischio di dipendenza sia pressoché nullo, o almeno molto limitato.
Ad esempio i pazienti con intenso dolore avvertono raramente l'euforia causata dalla morfina ma possono mostrare sonnolenza e rilassamento, sicuramente in seguito alla riduzione del dolore.
Insomma, come per quasi tutto, la risposta dell'organismo agli oppiacei è squisitamente personale.

Come avrete intuito, non ho mediricette da consigliarvi, semmai dovrà farlo il medico, e speriamo di no perché non sarebbe un buon segno.
Spero anche di avervi dissuaso abbastanza a non prenderlo in considerazione per il cosiddetto “uso ricreativo”. Non crea nulla, semmai distrugge.
Lasciamolo a chi non può proprio farne a meno: in quel caso è veramente prezioso.

Per concludere con una nota di colore, il nome dialettale “papagna” ha assunto il significato di cazzotto, di qualcosa che comunque mette k.o. 
Ad esempio nell'hinterland romano è nota l'espressione elegante e sofisticata “mò t'arriva 'na papagna”.

Non si scherza con il Papaver Somniferum. Spesso sento dire “tanto sono solo erbe”. Anche la cicuta è solo una pianta. Socrate ne sa qualcosa.

Spero di avervi tenuto buona compagnia.
Oggi un po' più tecnica e meno culinaria. Ma per una buona medicucina le herbette sono indispensabili. E occorre anche conoscere quelle da lasciare esclusivamente in mani esperte.

Un saluto e buona settimana a tutti!



Photo credit: Alastair Rae / Foter / CC BY-SA
Photo credit: jacilluch / Foter / CC BY-SA

domenica 5 luglio 2015

Gelo di mezzanotte

No, non è il nuovo romanzo di Mary Higgins Clark.
E nemmeno una previsione meteo...anche se ci farebbe comodo un po' di gelo almeno a mezzanotte, invece l'umidità e la conseguente afa non ci concedono neanche quello.
Il senso della frase "brucia all'inferno" devono averlo preso proprio da giornate come queste.

Veniamo al dunque.
Dopo aver sperimentato quelle meraviglie di gelsomino e caprifoglio (rispettivamente euforia e coraggio ed entrambi gustosissimi!) passiamo a fare un saluto anche a un fiore più che famoso e apparentemente banale ma con un curriculum di tutto rispetto.
Parliamo della camomilla matricaria, fiore consacrato al dio Horus in Egitto e una delle dodici piante sacre per i greci. Le sue mille proprietà sono conosciute e utilizzate da sempre. Viene anche chiamata "il medico delle piante" perché aiuta a rinforzare qualunque forma vegetale le viva accanto, infatti sistemata vicino ad altre piante deboli le aiuta a radicarsi e a riprendere vitalità.

La camomilla matricaria è sempre cresciuta spontanea nei nostri prati, almeno fino a qualche anno fa. La trovavo senza problemi e ci preparavo un olio che faceva miracoli per la cervicale e in generale per le tensioni muscolari. Ora sta diventando una vera impresa avvistare anche solo qualche gruppetto sparuto di piantine.

Così, dato che l'olio di camomilla riveste un'importanza centrale per evitare di imbottirsi di antinfiammatori a palate, l'anno scorso ho implorato un'amica in vacanza nel senese di andare a caccia della piantina. Per fortuna ha trovato un paio di prati nell'entroterra lontani dalle strade che traboccavano di camomilla e ne ha raccolta talmente tanta che è avanzata. Cosa rara dato che la preparazione dell'olio ne richiede una quantità notevole. Era talmente intensa e profumata di selvatico che mi sembrava una bestemmia non provare a tirarne fuori qualcosa di speciale, a parte la solita tisana. E comunque faceva già troppo caldo per una tazza di camomilla altrettanto calda. E allora perché non provare a farla fredda? Anzi, al cucchiaio. Ma si, gelifichiamo anche questa.
Il risultato è stato sorprendente.

11 gr di camomilla selvatica secca
la buccia di un limone e mezzo (ovviamente non trattato)
il solito litro di latte interissimo
120 gr di zucchero
75 gr di amido di mais

Stesso procedimento del gelo di gelsomino. Ma questo è l'ultimo, giuro!
Un'unica accortezza: prima di porre sul fuoco filtrate un paio di volte il tutto perché la camomilla secca lascia dei residui talmente sottili che possono ingannare anche il colino più esperto!

 Stavolta nel calderone del latte, insieme alla materia floreale, ci è finita anche la buccia di limone e dopo i soliti due giorni in frigo, il profumo ricordava le notti invernali con le mani strette intorno a una tazza bollente. Solo molto molto più invitante per la presenza massiccia di altri elementi dominanti. La nota erbacea della camomilla ingentilita dalla rotondità del latte, con una decisa nota alta e frizzante di agrume. Già così è una perfetta tazza di camomilla estiva, fredda e cremosa. Il fatto che sia anche zuccherata la rende un dessert a pieno titolo, ovvero gradevole alla maggior parte dei palati. Perché c'é anche chi trova lo zucchero un tantino coprente e stucchevole. Stesso discorso di chi beve il caffé completamente amaro: riesce a percepire note e profondità di sapore che gli "zuccherosi" non conosceranno mai. Tanto di cappello. Personalmente sono una via di mezzo... o forse oscillo da un estremo all'altro! E comunque esiste anche una bella varietà di zuccheri, dal più grezzo e non trattato (praticamente un integratore naturale di sali minerali e vitamine, indispensabile in estate) fino al più usato e abusato zucchero bianco iper raffinato che non solo ha le stesse proprietà nutritive del gesso (vitamine e minerali si perdono completamente nel processo di raffinazione), ma addirittura pare ci sottragga parecchie vitamine indispensabili del gruppo B. Ne riparleremo sicuramente in seguito.
Ora torniamo al nostro fiore.

 

Bere una tazza di camomilla è un gesto antico che evoca i mal di pancia e le paure infantili, che le mamme (non proprio tutte) erano pronte a lenire con questa bevanda fumante e un bacino della buonanotte.
Immaginate lo stupore degli ospiti cui avevo offerto una tazza di camomilla e si sono ritrovati a degustare una crema! Successone.
L'ho servito al termine di una serata, poco prima di andare a dormire ed è piaciuto a tutti. Dopo eravamo piacevolmente rilassati, ai limiti della sonnolenza. Qualcuno in effetti si è addormentato. Altri mostravano occhi semichiusi e una piacevole rilassatezza di fondo in tutti i loro gesti e discorsi. Persino i più rigidi hanno dato segni di scioglimento di ghiacciai interiori. Chiaramente non è una psicoterapia, dopo un paio d'ore se siamo dei pezzi di marmo torneremo ad esserlo, per cui se si vuole proseguire su quella strada ci vorrà ben più di un dessert calmante, seppur ottimo.
L'uso dell'olio essenziale di camomilla, molto più potente e diretto, in effetti potrebbe aiutare degli specifici tratti caratteriali e non serve neanche ingerirlo. Anzi, come vedremo in seguito, decisamente meglio di no.
La camomilla svolge un'azione decontratturante che può essere apprezzata su più piani: dai muscoli irrigiditi alle rigidità caratteriali come tensioni e rancori cristallizzati in espressioni perennemente arcigne.
E questa è solo una delle tante proprietà di questo delizioso fiore. Per il resto, dovrò rimandarvi a un approfondimento più dettagliato di prossima uscita. Nel frattempo, non comprate olio essenziale di camomilla a buon mercato. Quello vero e pieno di proprietà costa un occhio della testa ed è blu. Il resto sono chimiconi da evitare accuratamente.

Per concludere l'argomento geli (altrimenti non ve ne libero più!), ho fatto altri esperimenti di cui uno con i fiori tanto decantati di lillà: potete provare (stesse quantità e procedimento del gelo di gelsomino), a me sapeva un po' di medicinale; forse ci andavano meno fiori.
Un'altra variante golosa del gelo di gelsomino è aggiungere ai fiori le bucce di un limone giallo e di uno verde: gli danno uno sprint e una freschezza molto godibili in piena canicola.
Ho provato anche con la lavanda, la menta e una decina di altri gusti.
Ma per ora, credo di avervi gelificato abbastanza.
Magari in seguito non è da escludere un grande ritorno, ma al momento credo ne abbiate le scatole piene!
La prossima settimana inaugureremo la rubrica "herbette", dove si parlerà nello specifico di piante non pericolose e commestibili, di piante velenose mortali o troppo difficili da maneggiare, il cui uso è rimandato ai soli addetti ai lavori o al personale medico e infine di piante buone ma non troppo, perchè possono interferire con determinati farmaci o con delle patologie specifiche. 
Rispettivamente, "herbette si", "herbette no" e "herbette forse":)
Cominceremo con un'herbetta decisamente no che ha sempre esercitato un certo fascino e ne conosceremo un aspetto davvero ben poco noto.

Un ultimissimo accorgimento: non provate a buttare la poltiglia di fiori di camomilla e limone! Usate per gli scarti lo stesso procedimento finale del gelo di gelsomino, oltre agli utilizzi descritti lì, potete impiegare questa acqua lattiginosa di recupero in un impacco schiarente per i capelli.

Ora ho davvero finito :)

Buona settimana a tutti!